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Le chiacchiere da Bar Ponderoso

Per Brutture Moderne arriva “Marshmallow”: la “sinuosa power ballad al gusto frutta”, come la definisce la band, dei Bar Ponderoso che anticipa l’uscita del loro nuovo EP.

I Bar Ponderoso hanno da ridire su molte caratteristiche del mondo che li circonda, sulla gente che incontrano e sulla musica che arriva alle loro orecchie. Incanalano l’indignazione e la repulsione nei confronti di Paese incapace di apprezzare l’arte e la cultura in suoni “vivi” e distorti. Si rifugiano dietro i loro amati e fedeli strumenti e al legame viscerale che hanno con essi per riuscire a sfuggire alla mano invisibile del mercato che spinge verso il baratro, lontano dalla poesia, la musica. I Bar Ponderoso fanno da ponte tra la Sicilia e la Lombardia facendosi influenzare da entrambe le realtà pur mantenendo una matrice stoner rock. I testi e le tematiche affrontate in essi rispecchiano adeguatamente la carica dei loro arrangiamenti.

“una società già narrata da Oscar Wilde ai tempi della rivoluzione industriale e giunta fino a noi sempre più carica del termine consumismo. Un consumismo alienante sfociato anche in termini relazionali, nel vedere l’altro come un’opportunità, come una mera e confortevole mangiatoia. Tuttavia, è proprio grazie all’amore di un’altra persona che il narratore torna a sognare, proprio per mezzo di quella forza universale che è l’antidoto agli scaffali di un centro commerciale.”

Bar Ponderoso
Ciao! Vi do il benvenuto su Posta Indipendente chiedendovi come vi siete conosciuti e in che modo avete dato vita al progetto.

Ciao Lucia e ciao a tutti i lettori di Posta Indipendente!
Io (Luca) e Manuel ci conosciamo da tantissimi anni . Suonavamo in due diverse cover band del nostro piccolo paese in provincia di Messina, stiamo parlando del 2003/2004. Poi non ci siamo più visti perché siamo andato a vivere al nord, fino a quando con gli Anelli Soli (mia vecchia band) avevamo bisogno di un bassista ed è lì che ci siamo rincontrati. Dopo un anno, nel 2015 gli ho proposto di fondare un duo. Così è nato il Bar Ponderoso

Il vostro singolo “Marshmallow” è caratterizzato da un’aspra critica nei confronti del consumismo. Da artisti in che misura sentite e subite l’influenza della società di massa nel mondo della musica?

Manuel: come suggerisce “Marshmallow”, il consumismo pervade il nostro vivere e sicuramente anche il mondo dell’arte. Passiamo molto del nostro tempo a pubblicizzare la nostra musica attraverso i social, cercando di rendere la nostra immagine un qualcosa di commerciale, di redditizio anche solo in termini di visibilità. Tuttavia, crediamo che il modo migliore per emergere, e sicuramente il più naturale per un musicista sia il palco, il live. Non esistono musicisti che possano realizzarsi senza suonare. Specialmente chi fa rock. Suonare, saltare e sudare su un palco è di certo la strada che meno si piega alle logiche consumistiche e che più si avvicina alla musica, alla purezza dell’arte. Più palchi e meno fuffa!

“…Faremo a pezzi la maschera di Dorian Gray”. Ci spiegate meglio il nesso tra il romanzo di Oscar Wilde e il tema centrale del vostro pezzo?

Manuel: “Se mi rifaccio ancora piacerò anche senz’anima”. “Marshmallow” parla sì di consumismo ma anche della caduta di valori che ne consegue. Così per sentirsi più sicuri di sé stessi nella società dell’immagine, si sente il bisogno di ritoccarsi il naso o di rifarsi il seno (ahimè, mai il senno!). E a ben pensarci era proprio questa la condanna di Dorian Gray: rinunciare alla propria anima in cambio dell’eterna giovinezza, dell’essere belli per sempre. Ma a quale prezzo? Perdere la propria identità e l’essere umani per diventare un bellissimo e algido involucro, come tanti altri. Facciamola “a pezzi” sta maschera!

Data la vostra rinomata collaborazione con Gianluca Bartolo del Pan del Diavolo, qual è il vostro rapporto musicale e culturale con la scena alt rock italiana?

Luca: Ho conosciuto Gianluca quando girai il videoclip de Il Pan del Diavolo (sì, faccio anche il filmmaker). Io e Manuel avevamo dei pezzi che dovevamo registrare, cercavamo un produttore con i nostri gusti e così è nata la collaborazione. Il nostro rapporto con la scena alt rock italiana è concreto e vivo, in particolare con Cappadonia, Johann Sebastian Punk, Alosi (Pan del Diavolo), Aabu potremmo considerarci un vero e proprio collettivo artistico. Quello che si rimprovera spesso al mondo del rock è che non si fa mai squadra come solitamente succede nell’hip hop/rap e anzi c’è sempre una sorta di rivalità. Tra noi non c’è assolutamente rivalità, collaboriamo e ci supportiamo moltissimo l’uno con l’altro.

Siete una band siciliana di base a Milano. Noto una certa difficoltà da parte degli artisti nel fare dei live al sud specialmente durante i tour invernali. Qual è il vostro pensiero al riguardo? Tralasciando il periodo pandemico, secondo voi quale può essere la causa di questa carenza più che di spazi direi di opportunità?

Il problema è assolutamente culturale, al sud ci sono meno locali ma c’è anche meno gente che va ai concerti. Le realtà davvero indie, che preferisco chiamare underground, sono presenti solo che non riescono a sopravvivere. Per esempio nella nostra città d’origine c’è il Retronouveau che è uno dei locali migliori d’Italia con una programmazione molto interessante quindi un luogo molto importante per la cultura. Ma per questi posti non c’è nessuna tutela da parte delle amministrazioni comunali, regionali e nazionali. Quindi il problema è il nostro Paese.

A tal proposito avete dei live in programma?

Sì assolutamente, ancora non possiamo annunciare perché potrai comprendere il momento storico che stiamo attraversando e la condizione dei locali italiani però sì, ci sarà una data release a Milano, poi suoneremo in altre grandi città e soprattutto in Sicilia. La parte del live per noi è necessaria perché è il motivo per cui facciamo i dischi e anche questa intervista.

In un’intervista avete detto “vorremmo vedere più ragazzi appassionati alla musica suonata e che si emozionano davanti a qualcuno con una chitarra in mano piuttosto che a un microfono con l’auto-tune”. Ricollegandomi alla domanda precedente, pensate che questa tendenza giovanile sia riconducibile alla mancanza di luoghi di aggregazione e alla perdita di valori condivisi?

Luca: Rispetto a quell’intervista le cose sono un po’ cambiate. Adesso ci sono più ragazzi che vogliono suonare uno strumento e questo è accaduto grazie ai Maneskin che hanno avuto grande successo a livello planetario. Questo è sintomatico di una società, soprattutto i più giovani, che si interessa solo a quello che viene bombardato sui social. La musica è diventata un prodotto commerciale e la cosa orrenda è che non la scegliamo più noi ma ci viene sbattuta in faccia da un algoritmo. Ma sono convinto che la musica ritornerà ad essere un contenuto più esclusivo. Il primo passo lo dovrebbero fare proprio i big come i Maneskin, non pubblicare più sulle piattaforme digitali ma fare solo vinili per esempio; ma questo va ad inficiare gli interessi economici delle major. I soldi sono il male, anzi le persone che sono spinte solo dal denaro sono il male.

cura di
Lucia Tamburello

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