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“1410”, la cifra stilistica di Saphe

Il pop punk nazionale inizia ad emerge con i brani dell’artista Saphe. “1410” è il suo personalissimo nuovo singolo pubblicato a dicembre per NEEDA e prodotto da Louis Littlebrain

“1410”, pur non essendo il primo singolo di Saphe, fa da vera e propria presentazione per l’artista che rompe qualsiasi barriera si possa frapporre tra lei, i suoi ascoltatori e il racconto sincero del suo Io. L’emotività, la paura di essere veramente se stessi di fronte agli altri e il malessere interiore, da problemi esistenziali, si trasformano in elementi di forza, nella cifra stilistica di Saphe. La cantautrice, andando contro un mondo di vincenti senza sentimenti, ribadisce la forza della fragilità mettendo in primo piano la propria.

Ciao Saphe, benvenuta su Posta Indipendente! Il tuo nuovo singolo si intitola “1410”; cosa indica questa cifra? Come mai hai scelto di dargli proprio questo nome?

Ciao ragazzi, grazie di avermi qui con voi!
1410 è la data del mio compleanno, il 14 ottobre. Questa canzone è molto autobiografica e racconta frammenti di chi sono e come sono arrivata ad esserlo, quindi un po’ la mia evoluzione nel tempo. Era importante per me indicare qualcosa di simbolico e solo mio.

Nei tuoi brani descrivi la tua condizione emotiva in maniera molto diretta; è stato semplice metterti sin da subito a nudo nei tuoi testi?

Sì. La scrittura è l’unico momento in cui non mi fa paura essere chi sono. È un momento solo mio e da tale non mi importa di filtrare ciò che esce dalla mia testa o dalla mia penna. Anzi, più è autentico e diretto e più gratifica. Il momento che mi spaventa di più viene dopo, quando la canzone arriva alle orecchie degli altri, perché ti fermi un attimo e pensi: “ho dato un pezzo così profondo di me a persone che neanche mi conoscono”. Ma alla fine anche quello va bene, perché diventa il mezzo per dire chi sei anche a chi non lo sa.

Ascoltando “1410” ho percepito la voglia di non nascondere più l’odio nei confronti di se stessi, è così?

Tutti abbiamo dei conti in sospeso con noi stessi e tutti guardiamo indietro e vorremmo poter cambiare alcune nostre esperienze. Il punto focale per me era che a volte mi faccio paura, sono la prima a non volermi vicino perché proprio tutte quelle esperienze che vorrei cambiare mi rendono autodistruttiva. Forse nella speranza davvero di distruggere tutto e ricominciare, o forse solo perché a volte concedersi il privilegio di cedere è più liberatorio di combattere per stare bene.

Cosa ne pensi del pop punk in Italia? Come viene percepito, secondo te, questo genere nel Paese?

È sicuramente un genere che nell’ultimo anno ha trovato una nuova scintilla. Quando eravamo adolescenti aveva una scia tutta sua, ed era un genere che ci si ascoltava da soli in cameretta. Era il genere degli outsider, quindi a livello sociale, noi con i guanti senza dita e la catena con le borchie eravamo snobbati. La mia teoria è che tutti coloro che lo ascoltavano in cameretta ora sono cresciuti e hanno la possibilità di parlare di quegli anni con nostalgia e ammirazione, mettendo su un revival mood davvero affascinante. Penso che sia un genere che alle persone manca e che avrà un suo nuovo momento.

Negli ultimi due anni hai pubblicato cinque singoli, li vedremo raccolti in un album?

No. I miei primi tre singoli sono alieni per me ora. Non mi rispecchiano e fanno parte di un momento in cui cercavo me stessa nelle mezze misure, ed è per questo che non mi trovavo. Da “faccioschifoadamare” inizia un nuovo percorso per me.

Hai già delle date in programma?

No, non ho live in programma. Mi sto concentrando sulla scrittura e sulla creatività. Ho bisogno di comunicare alla gente chi sono e dove voglio andare e per farlo voglio focalizzarmi su quello che scrivo e sul mio sound.

a cura di
Lucia Tamburello

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