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“Un disco pieno di sfogo emotivo”- l’intervista ai LPOM

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con l’eccentrico duo noise Little Pieces Of Marmelade riguardo il loro nuovo album “Ologenesi” fresco di pubblicazione.

Dopo l’avventura di X Factor, con “Ologenesi” i Little Pieces Of Marmelade abbandonano i riflettori per dedicarsi esclusivamente ad un album intenso e diretto. Con suoni violenti e rudi, testi “alla Verdena” e una rabbia primordiale raccontano il loro “senso di oppressione/repressione” nei confronti dei tempi bui che stiamo vivendo. Per la prima volta affrontano la scrittura dei testi in italiano, accogliendo una nuova sfida all’interno del proprio percorso artistico. Da ottobre, Daniele e Francesco porteranno “Ologenesi” in giro per il Paese trasmettendo la loro energia nei migliori club.

«Uscire dalla scatola magica della tv e ritrovarsi nel bel mezzo di una pandemia mondiale ci ha segnato. Quando finalmente potevamo correre, siamo rimasti fermi, come tutti. Senza soldi, ovviamente. Tra le due ondate, un tour. E se sei in giro scrivi poco. Quando siamo rientrati a casa volevamo solo scrivere e buttare fuori questo senso di oppressione»

Ciao ragazzi, benvenuti su Posta Indipendente! Nei mesi scorsi avete accompagnato sul palco Manuel Agnelli, com’è stato suonare i pezzi degli Afterhours? Avete qualche aneddoto “da camerino” raccontabile?

È stato prima di tutto un onore. Accompagnare Manuel in tour e poter riarrangiare e mettere del nostro anche nei vecchi brani degli Afterhours è stata una bellissima esperienza. Ed è stato un onore anche perché noi siamo noi e sappiamo fare le cose a modo nostro, non siamo turnisti. Forse proprio per questo Manuel ci ha voluto e ci ha lasciato molta libertà di esprimerci.

L’ologenesi è la teoria evoluzionistica secondo la quale ogni specie vivente si trasforma continuamente e indipendentemente da ogni fattore esterno. L’album allo stesso tempo è ricco di inventiva e di provocazione. In che modo conciliate “l’evoluzione autonoma” sostenuta dalla prima concezione con la rabbia nei confronti del mondo che vi circonda che contraddistingue alcuni pezzi?

Volevamo essere influenzati il meno possibile da tutto ciò che avevamo intorno in quel momento.

Non volevamo seguire nessun trend e nessuna moda. Volevamo un disco unico e nessun tipo di paletto creativo o metodologia da seguire. Volevamo che questo fosse figlio di libertà totale.

Ci siamo rinchiusi in studio. Noi due e basta… Dovevamo riordinare tutto quello che avevamo dentro ed esprimerlo al meglio: speriamo di esserci riusciti.

Copertina
Nei vostri testi la parte letteraria sembra lasciare spazio alla musicalità delle parole, è così? Parlateci un po’ della loro stesura

Da sempre, come primo approccio, abbiamo cercato la musicalità delle parole: il difficile sta poi nel trovare il significato adatto ma, una volta che si parte a scrivere, poi non ci si ferma più. In questo disco i testi sono stati scritti sopra la musica, cercando ispirazione dalla canzone stessa, da disegni, da libri e dalle esperienze che facciamo nel mondo in cui viviamo. Proprio quest’ultimo fattore è forse il motore che ci ha dato la spinta per scrivere. Ci sentiamo, come molti, in uno stato di repressione e questo disco è stato anche uno sfogo.

A tratti si sentono delle influenze rap, qual è il vostro rapporto con questo genere?

Già da adolescenti apprezzavamo vari gruppi hip hop della vecchia scuola poi, negli anni, abbiamo cercato di portarlo un po’ anche nel nostro sound.

Nella scrittura invece è scattato con l’italiano, non avrei mai pensato di fare rap nella vita ma quando abbiamo iniziato a scrivere le cose da dire erano parecchie e non si potevano dire in poche parole, proprio perché è un disco pieno di sfogo emotivo.

“Canzone 10”, “Canzone 9” e “Canzone 12” sono i pezzi apparentemente calmi dell’album, sono delle “frenate brusche” tra pezzi “accelerati”. Sono nati diversamente rispetto agli altri brani?

Sì, sono i brani più tranquilli del disco. In realtà non abbiamo avuto un metodo particolare per scriverli ma è certo che “Canzone 12” ha avuto la gestazione più lunga. L’abbiamo riarrangiata più e più volte e avevamo fatto varie versioni. Quella che sentite sul disco era quella che ovviamente ci convinceva di più.

In “Canzone 7” ripetete “E vorrei, vorrei, ma cos’è che vuoi?”. A questo punto della vostra carriera artistica cosa vorreste?

A questo punto della nostra carriera vorremo continuare a fare quello che stiamo già facendo a modo nostro, ma al meglio. Vogliamo suonare tantissimo in tour e scrivere un botto di dischi e non ci vogliamo porre limiti di nessun tipo, mai.

Da ottobre partirà il vostro primo tour invernale. Il fatto di esservi posti a cavallo tra la scena mainstream e quella underground, e il fatto di vere un sound non proprio da artisti italiani “da palazzetto”, vi crea difficoltà nel trovare luoghi in cui suonare?

No, non abbiamo difficoltà a suonare live, anzi. Forse è la dimensione che ci è più congeniale. Il pubblico ha bisogno di tornare a sentire musica sudata, vera e suonata e non tutta la plastica merdosa che va di moda da un po’.

a cura di
Lucia Tamburello

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