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Basilio Petruzza: la sua scrittura come terapia dei sentimenti

La scrittura come terapia e come espressione, questa è la ricetta di Basilio Petruzza. Un bisogno quasi spasmodico che lo portava, da quando era bambino, a riempire pagine e pagine fino a oltre il margine. Una passione che ha contribuito alla sua formazione come uomo, a riconoscere i cambiamenti interiori e a misurarsi col mondo. Non a caso il suo blog si intitola Tutte le parole che posso, dove racconta di se ma anche del costume italiano, della musica e della televisione.

Ora Basilio Petruzza è uscito col nuovo libro Esistiamo per non perderci autoprodotto e disponibile su Amazon. Si tratta di un romanzo di formazione che narra la storia di Marcello e Barbara, il primo un omosessuale che vive una difficile situazione famigliare, la seconda soffre per la perdita dell’amato padre. Il loro incontro sarà l’ancora di salvezza per continuare il loro cammino.

Successivamente Barbara darà alla luce una bambina morendo però per il parto. La piccola Luce sarà una sorta di promessa alla vita che per Marcello si evolverà attraverso la piena coscienza di sé e dell’amore come completamento.Abbiamo voluto fare qualche domanda a Basilio Petruzza per farci raccontare direttamente da lui le caratteristiche del romanzo.


La cosa che più mi ha colpito del tuo romanzo è che dietro tutte le incomprensioni e le difficoltà di cui parlavamo prima è la vita che vince in maniera inesorabile.La nascita della piccola Luce è come il suggello al legame fra Marcello e Barbara come a dimostrare che l’amore è più forte dell’ignoranza e dei pregiudizi.

È proprio così: Esistiamo per non perderci è un romanzo in cui la speranza si fa concreta, ha un nome, un volto e un destino. Si chiama Luce, è la figlia che Barbara mette al mondo prima di morire, è il suo riscatto alla rabbia che ha provato, all’odio che non ha fatto in tempo a guarire, a tutti i dolori che ha conosciuto. Marcello, quando resta solo a prendersi cura di Luce, capisce che non esiste speranza che possa sopravvivere senza coraggio. Lui fa la sua parte, è solo un ragazzo, ma ha provato sulla propria pelle la disattenzione e la frustrazione di un figlio, non permetterà che alla sua bambina accada lo stesso. Quindi ci mette il suo coraggio, che all’inizio, forse, è soltanto incoscienza. Ma poco importa: lui fa quel che ha promesso a Barbara, diventa padre e, col tempo, impara a essere padre.

Gender fluid, LGBT sono diventati dei diktat per i nuovi personaggi dell’arte. I nuovi divi della canzone, soprattutto quelli dei più giovani, molto spesso confessano, ora più che mai, i loro differenti orientamenti sessuali. Credi sia una rinascita dei diritti o una moda passeggera?

Nessuno dei due, credo che i giovani di oggi stiano mettendo in piedi un mondo migliore di quello che gli è stato consegnato: è una generazione libera, inclusiva, consapevole, lucida, intelligente. Mi fido dei giovani. Mi fa sorridere parlarne così, del resto io ho solo trent’anni, ma c’è un abisso tra la mia generazione e la loro: quando frequentavo il liceo, il tema dell’omosessualità era ancora un tabù, se ne parlava poco e a fatica. Oggi, invece, le cose sono cambiate. Anche in questo caso, di strada da fare ce n’è ancora tanta ed è tutta in salita, ma ho piena fiducia nello sguardo coraggioso e accogliente dei più piccoli: senza i limiti della vecchia guardia, che non è la mia generazione, ma quella ancora precedente, possono rendere la società più sana e giusta.

Nel tuo romanzo Esistiamo per non perderci affronti, in definitiva, le difficoltà ad accettare la propria natura andando contro le convenzioni della società e della famiglia, in primis. Secondo te sono stati fatti passi avanti o la strada è ancora in salita?

Di passi avanti ne abbiamo fatti, è vero, ma c’è ancora tanto da fare. La vicenda di Malika, la ragazza omosessuale disconosciuta dalla sua famiglia, mi ha fatto riflettere molto. Anzi, mi hanno fatto riflettere i commenti che ho letto sul web. Se è vero che molti erano di solidarietà, tanti, troppi erano di biasimo. Ho letto, ad esempio, che «i genitori hanno sbagliato, ma bisogna anche comprenderli» oppure «poteva tenerselo per sé, che bisogno c’era di dare un dispiacere alla sua famiglia?».

Commenti del genere fanno capire quanto ancora ci sia da fare e quanta omofobia ci sia da sradicare. Siamo passati da «I gay mi fanno schifo» a «Non ho nulla contro i gay, possono fare quello che vogliono ma a casa loro»: in tutta franchezza, questa sorta concessione, che alcuni hanno l’arroganza di fare ad altri, non mi pare esattamente una conquista, anzi. C’è ancora troppa ignoranza, paura di ciò che è percepito come diverso, mancanza di rispetto, di empatia e di educazione. La salita è ancora lunga.

Sempre nel romanzo le donne hanno un ruolo determinante. Vengono rappresentate come amiche, madri e compagne che condividono sentimenti e frustrazioni. Quanto c’è di autobiografico in questo rapporto?

Tanto, quasi tutto. Non sarei quello che sono senza le donne che fanno parte della mia vita, che sono state determinanti per le scelte che ho fatto. Probabilmente Esistiamo per non perderci non sarebbe mai esistito se non avessi avuto al mio fianco le donne a cui voglio bene. Del resto, è nato una notte d’estate, a casa di una delle mie più care amiche. L’ho guardata e le ho detto «Ho in mente la storia di due amici che hanno il coraggio di dirsi tutto, proprio come noi». Senza di lei, questo libro non l’avrei scritto nemmeno.

Basilio, il tuo lavoro di scrittore è la dimostrazione che questa pratica è salvifica per se stessi e per gli altri. Se dovessi convincere un ragazzo sulla sua utilità cosa gli diresti?

Di farlo senza forzare la mano, lasciando fluire la verità, che è fragile e per questo va maneggiata con cura. La ricerca della mia verità più intima è il motivo per cui scrivo ed è il motivo per cui scrivere non è mai semplice: non si tratta soltanto di raccontare una bella storia, ma di scavare a fondo per riportare alla luce la parte più autentica di me. Non è un esercizio indolore e non è un evento senza conseguenze, ma è salvifico, perché la verità ci restituisce chi siamo realmente. Del resto, quello che diventiamo è una somma di cose, ma quello che siamo è già dentro di noi, solo che spesso ce ne dimentichiamo. Ogni tanto, anziché accumulare esperienze, traguardi, medaglie, è necessario togliere tutto. Sotto l’ultimo strato ci siamo noi. Per me scrivere è questo: togliere e ri-scoprire. Ri-scoprirmi.

a cura di
Beppe Ardito

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