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“No Shiesty”, il rapper Naver ci parla della sua attitudine

Millenari Records, la produzione di 2ME e la distribuzione di Artist First contribuiscono alla nascita di “No Shiesty”, il nuovo singolo del rapper di Trastevere Naver

Naver, giovane trapper romano classe 2000, racconta il suo nuovo singolo “No Shiesty” e le numerose soddisfazioni che il suo percorso artistico gli ha regalato. Il titolo del brano utilizza lo slang americano per indicare qualcuno sicuro di sé, ma allo stesso tempo diffidente del mondo che lo circonda. Questa figura diventa il mezzo per muovere una critica al panorama musicale attuale, a chi fa un tipo di musica finalizzato esclusivamente alla popolarità.

Paradossalmente questi suoi valori e la sua attitudine lo portano ad avere già un notevole riscontro da parte del pubblico, ma osserviamo questo aspetto dal punto di vista di Naver:

Ciao Naver, benvenuto su Posta Indipendente! Il brano “Via Libetta” ha raggiunto 11 milioni di ascolti, “Fogli Strappati” è stato inserito nelle playlist editoriali Novità Rap Italiano e Raptopia di Spotify e “No Shiesty”, il tuo ultimo singolo, sta riscontrando un notevole successo; ti aspettavi questo il risultato?

Non mi faccio mai aspettative proprio perché ogni traccia è come un figlio per me e quindi a prescindere sono sempre orgoglioso del lavoro svolto da me e dal mio team e di ciò che creo. I numeri o le riconoscenze sono una conseguenza dell’impegno e della dedizione.

Qual è, a tuo avviso, la caratteristica che ti rende così apprezzato dagli ascoltatori?

Sicuramente la mia versatilità su diversi generi è un pregio che in pochi hanno e questo sicuramente mi distingue da chi sceglie di essere una cosa sola. Io spazio su tante idee differenti, penso che dalla parte dell’ascoltatore ciò si possa evincere facilmente.

“No Shiesty” è un’espressione che cerca di giocare con lo slang americano per riferirsi a una persona non timida, che non si fida del mondo esterno e che a maggior ragione non vuole approfittarsene. Che valore dai alla timidezza?

La timidezza è qualcosa di umano perciò non la condanno, sono sicuro però che quest’ultima penalizza molte volte le nostre sorti poiché ci ingabbia e non ci rende liberi di agire secondo il nostro istinto, è come una catena.

È un limite nel mondo del rap?

Per certi versi penso proprio di sì, chi riesce ad osare ha sempre la meglio su chi invece tiene sempre il piede sul freno per paura di schiantarsi.

Cosa ne pensi delle polemiche riguardanti la misoginia nei testi di molti rapper italiani?

I critici d’arte giudicano i quadri, molto spesso la musica invece è criticata da chi non la vive e non la conosce, non ne conosce le usanze e nemmeno generi, sottogeneri e altro; quindi, penso che sia inutile polemizzare sulle cose solo per i testi quando la musica è chiaro che non è solo formata da un testo.

“Ora tutte queste serpi vogliono mangiare al mio tavolo”; cosa offre il tuo tavolo? Chi sono queste serpi?

La metafora del tavolo l’ho utilizzata altre volte, per me sedere al mio tavolo significa perdere e vincere insieme a me, ecco perché non voglio serpi sedute lì perché le serpi sono quelle persone, per me, che ci sono solamente quando vinci ma quando stai perdendo non si curano di te e ti lasciano solo.

Hai collaborato sia con artisti italiani che d’oltreoceano? Quale “ambiente musicale” prediligi? Quello nazionale o quello straniero?

Ho diverse collaborazioni con rapper europei e americani, la musica è bella proprio perché è molto facile unirsi e collaborare con persone che non parlano la tua lingua e questo da vita a progetti mega originali con un sound tutto nuovo poiché non è sempre comune vedere collaborare rapper di diversi paesi (esclusi i big del rap) più in ambito emergente ecco, io prediligo di più la musica fuori dall’Europa per un discorso di sound e lyrics a cui sono molto affezionato.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ho in programma un disco assurdo, pieno di collaborazioni e nuovi esperimenti non vedo l’ora di dropparlo perché ho già pronto quello dopo che è ancora più spietato, no waste time.

a cura di
Lucia Tamburello

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