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Narova ci racconta “La fine del gran casino”

Numerosi rifermenti letterari nell’EP d’esordio del cantautore Narova che si ispira a quello che gli accade per fissarlo in “una cartolina”

Il mondo si divide tra chi non avverte l’esigenza di confrontarsi con l’immenso patrimonio artistico esistente e chi lo fa quotidianamente e da sempre. In questa fazione si colloca Narova, cantautore originario di Sannicandro di Bari, ma Berlinese di adozione, che ha recentemente pubblicato “La fine del gran casino”, il suo EP d’esordio per la SAC Recordings.

La fine del gran casino è ricca di riferimenti letterari da Stephen King a Melville oltre a naturalmente influenze musicali che ricordano il cantautorato italiano di un tempo. Fuori dal tempo, almeno quello presente, caratterizzato da ben altre correnti. Le canzoni di Narova per citare una strofa di “Caro fiore” sono “un inganno alla mente” ma, a dispetto dell’accezione negativa del termine inganno, è tutt’altro che tale: è quasi una rivelazione di bellezza che può arrivare, senza ossessioni, dalla vita di ogni giorno, dagli incontri, dai volti, dai luoghi, dagli eventi.

La fine del gran casino: qualcosa che si può raccontare perché è finita

Così, in “La fine del gran casino”, la storia di una casa e di chi l’ha abitata diventa racconto con un prologo e un epilogo perché narra di qualcosa di finito come il ricordo impresso nella mente e in una foto scattata qualche tempo prima di diventare la copertina del disco. C’è del magico in questo sì, ma anche tanta concretezza oltre che consapevolezza che quando si ha un’inclinazione, un sogno lo si deve seguire ma senza restarci bloccati su. Il rischio concreto è di restare abbagliati dalle illusioni che possono precluderci ben altre opportunità.

Come lo stesso Narova ci ha raccontato in questa intervista, nella quale abbiamo affrontato vari temi legati alla sua storia personale e artistica, alle scelte di vita, alle compagne fidate, alle amicizie storiche che resistono al tempo e alla distanza come le cartoline.

Ciao Narova, benvenuto su Posta Indipendente. Siamo curiosi: chi è Narova e quando è nato?

Ciao Mariangela, grazie per l’attenzione e del benvenuto. Bella e tosta la prima domanda, ma provo a rispondere in modo esaustivo. Narova è fondamentalmente un ragazzo pugliese che da anni ormai vive a Berlino. Narova è un nome d’arte ovviamente, la cui genesi si annida nei miei ricordi di infanzia: avevo forse sei o sette anni quando lessi questo nome su un oggetto misterioso e decisi di utilizzarlo per appellare un’altra cosa segreta. Questo giochetto non durò tantissimo e, col passare del tempo, Narova si era, per così dire, estinto.

Fino al momento in cui, un paio di anni fa, ho ripreso la chitarra in mano e ho cominciato a scrivere delle canzoni. Pensando quindi a un nuovo nome da darmi, in veste di cantautore, ho ricordato per l’appunto Narova e, oltre a piacermi moltissimo, ho capito che era il momento giusto per farlo resuscitare.  

Hai pubblicato il tuo EP d’esordio intitolato “La fine del gran casino”, fatto di testi e sonorità sospese in un tempo finito, come quello della storia di una casa e di chi l’ha abitata. Cosa o chi ti ha ispirato per la scrittura di musiche e testi? Cosa simboleggia il formato cartolina postale del disco?

Suonerà forse banale, ma la mia primissima fonte di ispirazione è la mia stessa vita e quello che mi accade. Non vivo però con l’obiettivo di fare esperienze commutabili in canzoni; al contrario, quando mi fermo a riflettere su alcuni volti ed eventi penso che sia bello (almeno per me) calcificarli in modo che possano rimanere per sempre, come una fotografia. La fotografia/cartolina/copertina dell’EP è stata scattata molto tempo fa, prima ancora che cominciassi a buttar giù gli accordi e il testo di “Caro fiore” e delle altre canzoni dell´EP.

Al temine della scrittura del disco, quando mi chiesi quale sarebbe diventata la copertina, subito ricordai quella fotografia e la scelsi. Niente di premeditato. A questo si ricollega la cartolina (attualmente in preparazione) che fungerà da unico supporto fisico del disco: sul retro vi sarà stampato un Qr code che scannerizzato rimanderà ai link utili per l’ascolto. Mi è sempre piaciuto ricevere e inviare cartoline, e quindi quale modo migliore per diffondere anche musica?

“La fine del gran casino” – Cover
Sei originario della provincia di Bari ma vivi a Berlino, quanto questa scelta di vita ha inciso sulla tua musica?

Sicuramente trasferirmi (anni or sono) a Berlino è stata una delle scelte più importanti e significative della mia vita. E non solo perché è una grandissima città spesso incredibile, dove continuo a sentirmi piccolissimo e al contempo comodissimo e pieno di opportunità, ma anche per le persone conosciute e con cui ho legato e le tante esperienze vissute.

Come ti dicevo prima, sono queste ultime a segnarmi e predispormi al raccontare attraverso musica e parole. Certo, conoscendomi so che, se anche fossi rimasto nel mio paese o se mi fossi trasferito in qualsiasi altra parte del mondo, è molto probabile che avrei comunque narrato il mio mondo, in un’altra chiave o utilizzando altri espedienti, musicali e letterari o chissà.

Ascolta “La fine del gran casino” su Spotify
Interessante la metafora alla base del singolo “Moby Dick”, titolo che ci riporta al noto romanzo di Melville, (e non è l’unico riferimento letterario, vedi il titolo dell’EP). Quanto è importante per te la letteratura, pensi possa aiutare insieme alla musica ad affrontare e vincere le proprie tempeste interiori?

La lettura e la musica mi hanno sempre accompagnato e lo faranno fino al giorno della mia morte. Sono le compagnie più fidate, sin da quando ero bambino. Non vorrei urtare nessuno, ma spesso mi chiedo come facciano alcune persone ad affrontare la vita senza sentire lo stimolo del confronto almeno con una minima parte dell’immenso patrimonio artistico che l’essere umano da millenni produce, per tantissimi motivi. Tra questi, appunto, la necessità di combattere le tempeste interiori.

Non sto dicendo che bisogna per forza mettersi a scrivere e suonare uno strumento per trovare risposte, il fatto è che, comunque sia, qualcun altro lo ha già fatto e ne ha lasciato testimonianza. Carpire (senza forzare) il senso, lo sforzo e l’intuizione di un artista è un’epifania, è una magia così strabiliante che, dico spesso, a volte non vorrei nemmeno alzarmi dal letto la mattina perché ho bisogno di rimanere a riflettere sulla rivelazione.

“Moby Dick” – Cover
Altrettanto suggestivo e denso di significato è il videoclip girato da Antonio Stea aka Isacco Nucleare, com’è nata questa collaborazione, proseguirà?

Conosco Antonio da quando eravamo bambini, siamo dello stesso paese. Ci siamo conosciuti sui banchi di una chiesa, cantavamo entrambi nel coro. Crescendo abbiamo avuto molto meno a che fare con la chiesa e la religione, mentre parallelamente insieme ad altri “outsider” del paese sviluppavamo un nostro gusto artistico spesso in comune. Non ci siamo mai persi di vista, nemmeno quando sono partito alla volta di Berlino.

E un paio di anni fa, durante un mio breve soggiorno in terra natia, abbiamo registrato una breve performance live. Questo fu un accadimento fortunato, perché così sono stato introdotto alla nascente realtà della Stand Alone Complex (Sac Recordings), e poi abbiamo prodotto il video di “Moby Dick“, girandolo tra Berlino e Rostock. E chissà cosa altro deve ancora accadere. We go with the flow.

Per salutare i nostri lettori: c’è una citazione, letteraria o no, che vuoi condividere?

Tantissime, a dir la verità, e non saprei da dove cominciare. Facciamo così, controllo l’ultima canzone che ho ascoltato prima di scrivere questa risposta, perfetto, Radiohead, “I want none of these” :

If you get off your knees, You’ll be out on the breeze. Take a lesson from me, don’t get stuck on a dream.


È un monito importante: senza passione, ossessione e tenacia è difficile perseguire i propri obiettivi, è necessario anche ricordarsi che ci si illude facilmente nella vita. Abbattere qualche illusione talvolta permette di aprire porte che nemmeno si intravedevano. Dico questo perché penso a me e al mio EP “La fine del gran casino”:  se ho scritto la prima canzone perché sognavo, speravo di poterla cantare, spiegare a qualcuno, pian piano mi sono reso conto che mi ero solamente illuso. E quindi, da lettera, cartolina personale è diventato un EP. E sinceramente, a conti fatti, sono molto più contento così

a cura di
Mariangela Cuscito

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