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“Blu periodo” di Moci, tutte le sfumature del suo nuovo EP

Il cantautore romano Moci racconta “Blu periodo”: una parte del suo trittico e ultimo lavoro scandito da colori, periodi, stati d’animo e suoni diversi

“Blu periodo”, il nuovo EP di Moci, è la tappa intermedia di una trilogia aperta a novembre con “Rosso profondo” e che si concluderà nei prossimi mesi con un nuovo lavoro. Il colore va oltre la vista, invade altri sensi, e si trasforma in un ottimo stratagemma espressivo per raccontare situazioni complementari e “cangianti” in base alla propria personalità, ma anche dal punto di vista generazionale. Moci, infatti, ancora una volta racconta la propria “classe” composta da giovani che hanno subito e che continuano a subire gli effetti della modernità e della pandemia che si traducono spesso in senso di inadeguatezza e in disagio. Il periodo blu di Picasso, attraversato da una profonda depressione, si allarga su vasta scala andando a ridipingere una Guernica del XXI Secolo.

“L’obiettivo principale in questa nuova scrittura e produzione è quello di riportare l’impatto e lo sfogo di un potente concerto post punk in un formato bedroom pop, come far entrare un’intera band nella cameretta di un giovane producer in quarantena ma senza ricorrere ad un’ imitazione. “

I suoni che accompagnano i temi cupi di “Blu periodo” riflettono il concept dell’EP facendo confluire le principali influenze dell’artista in una sorta di “bedroom rock”, campionando e manipolando gli elementi tipici della “musica suonata”, del rock più artigianale.

Ciao Marco! Il titolo dell’EP si ispira al periodo blu di Picasso, ma il concept della trilogia ha anche qualche legame con le teorie Kandinskij sui suoni e i colori?

Ad essere sincero no, non direttamente almeno… Sarebbe fico dire di sì però, ricordo benissimo di aver studiato questa cosa di Kandinskij e dei suoni al liceo e di esserne rimasto rapito, ma in questo caso la scelta del colore è più legata all’utilizzo che ne ha fatto Picasso e anche al significato stesso del termine “blue” in lingua inglese. Potrebbe anche essere che con la terza parte di questa trilogia la scelta di questi colori possa essere ancora più chiara.

Comunque, mi sto rivedendo la roba di Kandinskij e dei colori su internet ed in effetti è una figata. Ne stavo proprio discutendo con un mio amico producer l’altro giorno, Marco Blarzino (Oriente), lui mi diceva di avere sempre ben chiaro in testo il colore dei suoi brani, mi diceva: “quello è arancione quindi la copertina la faccio arancione, questo invece è blu ecc…”.

A me questa cosa dei colori affascina molto ma allo stesso tempo mi fa un sacco invidia perché è un tipo di associazione che non sono mai riuscito a fare, quando penso ai miei brani non riesco mai ad andare oltre a testo e musica, solo per pensare al titolo ad una eventuale trama per un videoclip devo sforzarmi tantissimo, come se la mia mente ad un certo punto dicesse: “STOP, a questa canzone ci hai già pensato abbastanza, passa alla prossima”, figuriamoci a capire il colore di un mio brano; questa mia caratteristica mi ha sempre fatto tanta rabbia.

Ascoltando i brani, in particolare “Santa pazienza”, ho notato un “non c’è niente che sia per sempre” di fondo, ho avuto la sensazione che tutte le “condizioni” di cui parli siano confinate in un determinato lasso di tempo o in un particolare periodo della vita; questa mia impressione può essere “giustificata” in qualche modo?

Ho scritto “Santa pazienza” in un periodo della mia vita di forte spiritualità, forte insomma… diciamo che mi ero appena rivisto le tre ore di documentario di Scorsese su George Harrison e tra un Hare Krishna ed una My Sweet Lord mi sentivo parecchio spirituale. Alla fine il pezzo parla della fine di agosto, il ritorno a Roma e l’ansia da prestazione che ci prende un po’ a tutt3 ad inizio settembre, quello di cui parlano i Fine Before You Came in “Capire Settembre”.

“Santa Pazienza” è una persona importante della mia vita che se ne è andata prematuramente, proprio per questo la sento più vicina di altre, come se fosse rimasta tra noi per delle sue faccende in sospeso, una di questa è quella di proteggermi e darmi appunto pazienza in ogni circostanza, dal traffico soffocante della mia città alla sabbia lurida del litorale laziale che non si stacca dai piedi neanche col sapone.

“Moci si interroga su quanto possibile sia amare qualcuno quando la paura ci rende così profondamente insicuri di noi stessi”; pubblicando questo EP hai trovato una risposta? È possibile amare qualcuno quando la paura ci rende così profondamente insicuri di noi stessi?

Il problema non è amare altre persone, il problema è sopravvivere all’interno di un rapporto quando non si ama se stessi. Posso amare infinite persone in infiniti modi diversi, ma finché avrò il costante bisogno di giustificarmi per ogni cosa, la convinzione di essere un impostore o la tendenza all’autodistruzione o la paura che il prossimo possa farmi del male perché “in fondo un po’ me lo merito”, gestire un rapporto e farlo maturare diventa semplicemente più complicato, niente di speciale o di impossibile. Alla fine lo si fa e spesso e volentieri aiuta pure a stare meglio, è importante però fare il proprio percorso, imparare ad amare se stessi usando come specchio gli occhi di un’altra persona è una droga micidiale che rischia di portare gli altri ad annullarsi per noi, non mi piace, per questo in “Ampere” dico “Non dirmi che mi aspetterai”.

Pensi che le situazioni raccontate in “Blu Periodo” riguardino esclusivamente la generazione “post pandemica, post moderna, post speranza” o che siano delle condizioni diffuse un po’ in tutti noi?

Credo si tratti di un tipo di sofferenza più generico, però è anche vero che il dolore ed il senso di inadeguatezza che meglio conosco è quello dei miei coetanei, della mia gente insomma. Ricordo che alla fine del lockdown tra amici e amiche c’era un continuo puntarsi il dito contro al suono di “sei cambiat3”, quegli anni ci hanno sconvolto, distrutto, compresso, soffocato, umiliato e anche ucciso in certi casi, siamo tutt3 cambiat3, importante è non fermarsi a questa informazione, andare oltre e guardare più in là del nostro naso per imparare ad amare la nostra gente anche con i loro cambiamenti.

Durante il tuo percorso artistico ti sei soffermato su sonorità molto diverse, ma i tuoi lavori non risultano mai troppo sconnessi tra loro; quanto è difficile sperimentare e contemporaneamente rimanere “musicalmente coerenti”?

Ho finito di lavorare al mio primo disco alla fine del 2019 e a questi nuovi brani ho iniziato a lavorarci in maniera davvero costante da poco più di un anno ad essere sincero, in mezzo ci sono stati gigabyte e gigabyte di esperimenti più disparati su brani scartati, brani che devono ancora uscire o versioni alternative di quelli usciti in “Rosso Profondo” e “Blu Periodo”, quindi è stato molto difficile, ricordo che i primi provini dopo il mio primo LP avevano sonorità molto pesanti e distantissime dal disco appena concluso, come se dovessi togliermi un po’ di sassolini dalla scarpa prima di fare un po’ di mente locale, capire la direzione da prendere ed iniziare un nuovo percorso.

In mezzo ci sono molti fallimenti ma anche tanta musica nuova da ascoltare, senza quella finiscono i giochi. Non ti nascondo però che sto ancora cercando una direzione per questi brani, anche se sono già usciti.

Nei prossimi mesi pubblicherai la terza parte di questo lavoro, puoi già anticiparci quale colore/tema affronterai?

Qualcuno mi chiede se stia ripercorrendo la trilogia dei colori di Kieslowski e quindi se il prossimo non sia il bianco, mi fa piacere che tra quello e Kandinskij mi si immagini come un artista così erudito considerata la capra che sono in realtà.  La risposta è molto più INFANTILE in realtà. Non spoilero niente ma ci si può arrivare benissimo. Quello che posso dire è che il nome della terza parte è stata scelta a priori e da quella ne sono venuti fuori i nomi di “Rosso Profondo” e “Blu Periodo”. “Rosso Profondo” parla di cosa ho paura possa accadermi da un momento all’altro, “Blu periodo” è riferito alla malinconia del presente… chissà

a cura di
Lucia Tamburello

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