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“Scatola Nera”, il disco d’esordio dell’omonima band milanese

Dopo essere stato presentato in anteprima su Rockon , esce per  Labellascheggia con distribuzione Costello’s / Artist First, “Scatola Nera“.

Scatola Nera” è una testimonianza che proviene da un passato non ben definito che porta con sé i segni del tempo, i suoni dei graffi e della polvere. È la voce di una memoria corrotta, che cerca di rimettere insieme i frammenti dei suoi ricordi, la memoria di un vecchio o di un nastro graffiato. “Scatola Nera” racconta il tentativo di riappropriarsi di un passato rimosso e cancellato, attraverso frammenti letterari e musicali. È un’archeologia musicale ed emotiva. Il progetto nasce dalla collaborazione e dall’amicizia decennale tra Giacomo Carlone, producer milanese, e il musicista e autore Luca Barbaglia. Grazie all’incontro con il pianista e sassofonista Gaetano Pappalardo e il chitarrista Simone Sigurani è iniziato il lungo viaggio di arrangiamento, registrazione e produzione che ha dato vita alle canzoni di Barbaglia.

Recupera un passato disperso nelle macerie del tempo e ce lo restituisce rivestendolo di contemporaneità.

I suoni tra passato e presente

Soprattutto negli ultimi anni, quel meraviglioso e lucente contenitore che è la pop music, ha ricevuto al suo interno generi e sottogeneri di ogni tipo: dall’elettronica alla canzone d’autore, dall’hip hop alla trap, dal folk al rock e così via. Insomma, nel corso degli anni, in maniera ciclica, quasi tutti i generi sono avvicendati a tracciare il “suono del momento”. Già, ma c’è quel “piccolo quasi”. La Scatola Nera ha deciso di non ignorarlo e di entrarci dentro, per provare ad allargare i confini spazio-temporali del suono. Ha fatto un lungo viaggio fino all’America di fine Ottocento ed è tornata alla Milano di oggi.

Il ragtime, il vaudeville, foxtrot, generi dimenticati dalla popular music, vengono riscoperti e ricontestualizzati da Giacomo e Luca, ma non attraverso un’operazione nostalgica e celebrativa, bensì fondendoli con il suono di oggi, per poter raccontare così la realtà che abbiamo intorno con occhi nuovi, ma con la memoria lunga. “Scatola Nera”  è un album dove la musica ritorna ad essere suonata: chitarre, pianoforti preparati, ottoni e cori intessono le atmosfere di questo disco registrato in presa diretta. Il lavoro di postproduzione, condotto in digitale e in analogico, ha invecchiato alcuni strumenti. Soprattutto i fiati e i pianoforti sembrano rippati da vecchi vinili anni ’20, ma si tratta in realtà di parti scritte ed eseguite ex novo.


Le canzoni sono alternate da alcuni remnant, frammenti musicali, quasi ambient, che testimoniano il lungo iter di scrittura e di arrangiamento che questo disco ha richiesto per la sua realizzazione. Questi frammenti dalle sessioni preparatorie del disco, sono stati registrati tra Milano e Londra, tra il Supermoon Studio e l’Abbey Road Institute. Questa è una peculiarità di questo progetto che, insieme alle canzoni, tenta di testimoniare la loro origine, la loro storia emotiva e creativa, assimilando le recenti sperimentazioni esteri dell’hauntology musicale e del plunderphonics di Caretaker

La poetica

A completare il loro lavoro, i testi, anch’essi frutto di un’attenta ricerca tra passato e presente. Da Nietzsche a Pasolini, da Edgar Allan Poe a Euripide, sono tante le citazioni più o meno velate.
La Scatola Nera è tutto questo. È un’operazione che nasce come archeologia musicale ma che, dopo aver riportato alla luce i reperti, non li espone in una teca, ma li usa come strumento per ridefinire l’attualità. La scrittura dei testi per immagini e per atmosfera procede frammentata. La poetica è quella di una memoria che cerca di ricordare, di ricomporsi, mettendo intorno a sé i suoi cocci.


Nonostante le sperimentazioni, la cura dei testi, degli arrangiamenti e nell’esecuzione, si tratta di un album che mette al centro l’emotività e il ricordo, colti nella loro spontaneità. L’album è un collage musicale e testuale che non rinuncia però alla coerenza e alla coesione compositiva di un cantautorato, che pur essendo in italiano, guarda soprattutto all’estero.

I singoli: “Scatola Nera #2”

È il quarto singolo del progetto che segue e conclude il singolo precedente “Scatola Nera #1”. Il loro esperimento di hauntology sembra qui mostrarsi con chiarezza. Vere e proprie orchestrazioni uscite da un vecchio grammofono concludono il brano con fiati e un piano ostinato. L’arrangiamento si muove su burle vaudeville e modulazioni che hanno il sapore degli anni ’60. Si tratta di un pastiche, di un collage musicale e testuale, ma sempre centrato e diretto con attenzione. Anche il testo sembra snodarsi su immagini ambigue e contraddittorie; in una “città” senza tempo, passata, futura o ideale. Tiresia gira per pub ad offrire la sua bocca; l’acqua salmastra scorre, la verità è “solo un velo che censura il seno dell’ambiguità”; il mercato delle pulci vende la polvere che si è già posata sulle novità.

 In un momento in cui tutti sembrano voler avere un’opinione razionale a suon di dati. “Scatola Nera #2” gioca e difende le contraddizioni, lanciandosi in un lungo sogno che ricorda il labirinto che campeggia in copertina.
Il brano si conclude con un lungo voice-over, declamato con un marcato accento inglese che risuona gracchiante da una vecchia radio. Un campionamento? No, anche in questo caso Scatola Nera, riscrive un passato che non è esistito e, semplicemente, se lo inventa. Quest’ultimo singolo promette un disco sfaccettato, anomalo, complesso e unico per il panorama italiano.

I singoli: “scatola nera #1”

Rivela le tracce e i riferimenti musicali di questo progetto che prima con “Terra senza pioggia”, poi con “Tekeli-li!” ha deciso di presentarsi intimamente e in punta di piedi. “Scatola Nera #1” è invece una traccia ritmata, in cui si affastellano molti livelli di arrangiamento, che confluiscono in una vera e propria orchestrazione. Un piano preparato ostina un ragtime, una copia sezione di fiati scandisce il testo lungo e ricco di immagini, un coro scandisce i crescendo della canzone. In questo brano l’esperimento dell’archeologia musicale inizia a prendere le caratteristiche sperimentali di un avant-pop italiano, sancendo un tentativo unico di unire un testo italiano con arrangiamenti che guardano molto al mondo anglofono, soprattutto d’oltreoceano. 

Singolo Scatola Nera#1

Nel testo si susseguono suggestioni, immagini e riferimenti culturali che si compongono in un collage che ha tutto il sapore della letteratura modernista inglese e in parte della poetica beat americana (dei quali ha l’eclettismo, ma soprattutto la leggerezza dell’ironia). Sopra la testa di tutti i personaggi e di tutte le situazioni aleggia questa “scatola nera” che sembra essere testimonianza di ciò che non può essere detto, di ciò che, al netto di tutto, sa sopravvivere al tempo , alle persone, a tutto. Il codice segreto di questo progetto comincia a disvelarsi con questo brano. Il brano, come i precedenti è passato attraverso un processo di invecchiamento. I cori di Marina Ladduca e Maddalena Silveravalle (MAD-A) sembrano riecheggiare di alcuni motivi alla Morricone (un’impressione che si conferma anche attraverso i fiati, un po’ western). 

L’intro del brano è una vera overture che si sussegue per quasi un minuto. Prepara l’ascoltatore all’approccio musicale che accompagnerà tutta la canzone. Le strofe si susseguono senza un vero e proprio ritornello, fino a precipitare tutte in quell’oggetto incombente, in quella scatola nera che contiene e che evoca la parte più segreta di tutte le immagini che si succedono una dopo l’altra.

I singoli: “Tekeli-li!” 

È una parola inventata da Edgar Allan Poe nel finale di “The Narrative of Arthur Gordon Pym of Nantucket”. Viene fatta pronunciare dall’abitante di un arcipelago sconosciuto vicino al polo sud. Con questa parola il personaggio indica ciò che più lo spaventa, il bianco assoluto e puro. Nel racconto di Poe, quest’uomo, perso in un mare opalescente, in una strana nebbia lattiginosa e in un volo di aironi bianchi, grida questa parola prima di spirare dalla paura. La canzone riprende il terrore per la chiarezza, per la razionalità portata alle sue conseguenze estreme, raccontando un mondo irrigidito, cristallizzato e freddo. Si tratta di una breve ballata, completamente suonata in acustico (piano preparato, chitarra, banjo, percussioni, cori). L’arpeggio sembra risuonare con le atmosfere più aeree di Donovan o di Nick Drake.

I singoli: “Terra senza pioggia”

È una ballata divisa in quattro quadretti, in cui uomini, donne, monumenti e personaggi letterari si intrecciano e si scontrano nell’attesa che la vita ritorni, che le nuvole bagnino il suolo. L’atmosfera musicale è orchestrata da pianoforti preparati, saxofoni e intrecci di chitarra, che riprendono temi musicali scomparsi. Questi scampoli musicali sembrano riemergere da un passato mai esistito, che appare improvvisamente in un suono volutamente invecchiato, coperto da una patina di polvere e dal suono dei graffi di una puntina. Il brano è presentato da un’overture che riecheggia lo swing e qualche fumosa sala da ballo, dove si insinua come uno spettro un profondo suono di Moog. È stato registrato in presa diretta al Supermoon Studio e ha subìto un processo di invecchiamento in fase di mixaggio.

Il videoclip di “Terra Senza Pioggia”

Il protagonista del nuovo video della Scatola Nera è un astronauta che sembra rappresentare l’impossibilità di tornare a una normalità sociale. Un’altra possibile interpretazione ruota attorno alla metafora di un distanziamento sociale portato allo stremo. Con ironia e dolcezza questa figura vaga in una città distorta, nella quale si miscelano centri storici e periferie, follie e solitudini. È solo nella sua casa, davanti a uno schermo dove scorrono immagini dell’universo, che l’astronauta si sente al suo posto. La fotografia in bianco e nero sembra richiamare il concept di questo progetto musicale che gioca su commistioni temporali, falsi ritrovamenti documentali, in un sound che corre sul filo di cent’anni di musica. 

a cura di
Redazione

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