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Intervista a Santamaria sul suo omonimo singolo

Intervista sul singolo “Santamaria” dell’omonima artista, una critica alle catene che la società ci impone.

Santamaria è una dichiarazione d’intenti, un progetto fuori dagli schemi, una ribellione. Santamaria ci racconta le imperfezioni e le necessità dell’individuo che spesso si sente costretto ad indossare una maschera che non gli appartiene.

Parlare il linguaggio della musica vuol dire, alcune volte, anche parlare per immagini. Vorrei partire proprio da qui e chiederti di raccontarci l’immagine di copertina di “Santamaria”, cosa ti ha guidato nella sua scelta e perché?

L’idea nasce da un insieme d’immagini iconografiche religiose che abbiamo voluto raccontare attraverso il linguaggio adottato fino ad ora, ovvero in chiave ironica e fumettistica (in questo caso ci siamo ispirati alla pop art). La scelta deriva sia dal nome del progetto che del singolo, sia dal primo verso provocatorio del brano: “Nel nome della madre, della figlia e dello spirito…”, il quale mira a spostare il punto di vista dal maschile al femminile e a settare il mood della canzone.

Le classiche lacrime simbolo di dolore e martirio diventano disegnate e colorate, sceniche, quasi come si trattasse di un clown triste costretto ad indossare la maschera del suo personaggio per entrare nel circo dello show business; dietro la testa invece compare un disco d’oro, come parallelismo col raggiungimento della santità, se questa si traducesse in successo discografico a discapito della propria esistenza.

Il singolo manda un messaggio chiaro, specifico. Deve essere inteso, questo messaggio, come una denuncia sociale o cos’altro? Spiegaci la tua interpretazione.

La canzone può avere più chiavi di lettura. Una di queste, probabilmente la più evidente, è una critica al personaggio simbolico del femminile idealizzato e puro “che salva e libera dal male”, ma per rappresentare la salvezza altrui, la cura, in questi termini è costretto a cristallizzarsi in un essere irrealistico al quale è imposto, nell’immaginario collettivo, di non poter sbagliare mai, in qualche modo disumanizzandolo. Senza fallimento non esiste evoluzione e si diventa così meta passiva e inattiva, qualcosa da raggiungere e conquistare per poter stare meglio.

Un secondo piano di lettura invece va a considerare che nella nostra epoca ed in questa parte del mondo stiamo al contempo godendo dei privilegi raggiunti grazie alle lotte femministe ancora in evoluzione, ma anche portando sulle spalle la responsabilità di non rendere vane tutte le vite distrutte nel momento in cui hanno iniziato a dire “no”.

Uno dei modi per farlo, a mio parere, oltre ad usare il privilegio per migliorare le condizioni di chi quel “no” ancora non riesce a dirlo (o rischia la vita nel farlo), è imparare a capire come gestire i propri “sì”. Imparare a scegliere. Fare errori, scegliendo. Imparare che l’autodeterminazione non è un punto di arrivo, ma l’intero percorso lungo tutta una vita, ed è valido in ogni suo dettaglio, in ogni caduta.

Continuando a parlare del messaggio che “Santamaria” vuole veicolare. Ti andrebbe di spiegarci in che modo ti approcci alla musica, che uso ne fai (in quanto cantautrice ovviamente).

Il nucleo di tutto resterà sempre la dittatura del pensiero, il quale esige di essere comunicato. La musica è un linguaggio, per me quello più vicino al cielo. Mi è stato detto in alcune circostanze di non dare troppa importanza a quello che scrivo, perché se la canzone è orecchiabile andrà bene lo stesso.

Ma tra il pensiero e la musica per me c’è la poesia, sono per il cantautorato d’altri tempi e questo forse non mi porterà da nessuna parte oggi, però per me una canzone è come un albero, l’idea dietro un brano sono radici che affondano dentro di me e il tronco è la parola che veicola, infine i rami che si allungano verso l’infinito trasportando melodie, pronte a disperdersi nell’aria grazie alle foglie, che in questa metafora potrebbero rappresentare l’arrangiamento della canzone. Così una canzone può donare nuovo ossigeno a chi si avvicina abbastanza per poterla ascoltare.

Già che ci sono colgo la palla al balzo per chiederti anche che uso fai della musica anche in quanto fruitrice.

Per me la musica ha una funzione protettiva. Per sopravvivere a sé stessi è importante avere una buona strategia difensiva, perché ognuno di noi ha un suo punto di rottura che corrisponde in qualche modo alla fine del mondo. Serve sempre un posto dove andare, qualcosa da fare o qualcuno da vedere che salvi dalla fine del mondo. Per me, spesso, è stata la musica. Ho paura che finisca il mondo quando non so più cosa ascoltare, perché se non trovo più significato in nessuna canzone allora qualcosa non va.

L’atmosfera che il brano riesce a creare con strumentale e voce richiama il mondo del gospel per certi versi. Quella di ricreare questo tipo di mood, è stata una scelta stilistica/artistica o un personale gusto?

Il rimando è sempre al sacro, troppo spesso usato per dettare legge invece che dare spazio all’anima, non intesa religiosamente parlando, ma più come “autenticità”, la vera rappresentazione di sé, rispettando la propria indole e dandole modo di svilupparsi. La sensazione che abbiamo cercato di comunicare è quella di sentirsi incatenati a terra, ma con le braccia tese verso l’alto per cercare di liberarsi e trovare una sorta di “paradiso in terra”, volendo restare nella metafora.

Dal tuo punto di vista quali individui si potrebbero e dovrebbero ritrovare nel testo di “Santamaria”?

Santamaria parla a tutt* quell* che si sono pers* alla ricerca di sé stess* nel tentativo di soddisfare le aspettative sociali caotiche e confusive della nostra epoca. Crescendo in una società capitalistica che ci ha insegnato ad avere ambizioni e sogni enormi, quasi onnipotenti nella retorica del “se vuoi puoi”, ma al contempo ancora influenzata dai retaggi culturali e le credenze genitoriali, la pressione di dover dimostrare quanto si vale per “meritare” quel posto in società per il quale si è tanto lottato diventa asfissiante.

Viviamo in una società nella quale l’identità spesso si scinde tra reale e online, ma anche tra quello che potremmo essere e quello che dobbiamo essere, e nella quale gran parte degli ambienti sono ancora retti da una leadership maschile che predilige caratteristiche maschili alle quali doversi adeguare. Non appartenenti unicamente agli uomini, attenzione, ma a tutt* gli esseri umani che le hanno sviluppate spontaneamente o adattandosi.

Santamaria è una sorella maggiore che tende la mano per farti rialzare, ti aiuta a capire che non esiste una strada imposta per definirti, ma sei l’insieme di tutte le strade che decidi di percorrere, anche col rischio di fallire. Santamaria vuole normalizzare la fallacia umana abbassando il senso di inadeguatezza e imbarazzo legato ad essa.

a cura di
Matteo Cantergiani

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