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Ci tuffiamo nell'”Isola di (Tommaso) Tam”: intervista

Anticipato dal singolo semi omonimo, “Isola di Tam” (Believe) è il nuovo album di Tommaso Tam, un disco questo che somiglia a tutto e per tutto ad un romanzo distopico.

Noi lo abbiamo intervistato, ecco che cosa ci detti!

Ciao Tommaso, benvenuto su Postaindipendente. “Isola di Tam” rappresenta un nuovo capitolo nella tua carriera musicale. Come descriveresti l’evoluzione del tuo stile e delle tue influenze nel processo di creazione di questo album?

Gran parte dei brani è stato influenzato da una sperimentazione e una ricerca, studiando un nuovo software che mi ha permesso di varcare ed esplorare nuove sonoritá, coniugando il digitale all’analogico.Un paio di brani invece sono stati registrati alla vecchia maniera, ovvero suonando solo strumenti analogici in studio. Nei miei primi tre dischi invece, registravo esclusivamente e direttamente tutto in analogico senza nemmeno utilizzare il computer. 

Un attento  conoscitore può riconoscere  i Beatles e i Beach Boys nelle mie armonie e in alcune costruzioni melodiche. Sicuramente nel mio background ci sono anche  Prince, Stevie Wonder, Lenny Kravitz, Steely Dan, George Micheal e tanti altri ancora.

Il disco presenta una varietà di atmosfere, dalle sonorità retrò degli anni ’70 alle influenze più contemporanee. Come hai bilanciato queste diverse influenze per creare un’esperienza sonora coesa?

Bella domanda. All’inizio mi sono concentrato sugli arrangiamenti prima ancora che sulla melodia,tranne in tre canzoni che sono nate al piano e alla chitarra, con una linea  melodica ben definita fin da subito. Iniziare dall’ arrangiamento è stato insolito e sorprendente allo stesso tempo perché non sapevo mai dove il brano mi avrebbe condotto e quale piega avrebbe preso man mano che si sviluppava. Ho lavorato contemporaneamente a varie canzoni del disco e così facendo sono riuscito a creare un impatto sonoro uniforme, nonostante gli stili differenti tra loro.

“Strana storia vera” sembra attingere a sonorità pop degli anni ’70. Come si riflette il ruolo del passato nella tua musica e come lo mescoli ad elementi invece più moderni?

É una canzone che sembra uscita dagli anni ‘70, in effetti, molto “Lennon” e “Brian Wilson”, che sono due tra i miei autori preferiti. Qui si incontrano mescolandosi perfettamente; un omaggio ai Beatles e ai Beach Boys a cui devo molto e dai quali ho attinto i più reconditi segreti. Elementi moderni qua non ce ne sono, tuttavia l’album inizia con le chitarre per poi diventare più elettronico e sperimentale, chiudendo di nuovo con le chitarre, quasi fossero una parentesi.

La tematica della separazione e della nostalgia sembra essere un filo conduttore in “Isola di Tam.” Quanto c’è di personale e autobiografico in questa scelta tematica?

È a tratti autobiografico, non tanto per le storie narrate, ma per il mood nostalgico e sognante. Per certi versi oserei dire quasi drammatico,  anche se si chiude con una risatina alleviante alla fine di “Ricordi sepolti”, l’ultima traccia, quasi a voler sdrammatizzare.

Abbiamo notato una particolare cura negli arrangiamenti in questo album. Qual è il tuo approccio alla produzione musicale e come hai lavorato sugli arrangiamenti per trasmettere al meglio il messaggio di ogni brano?

Come ti dicevo, mi sono messo a lavorare al computer senza un’idea di cosa sarebbe successo. La musica che ne è scaturita ha sorpreso me “in primis” e spero sorprenda anche gli ascoltatori. In questo senso credo di aver trovato un approccio diverso ma molto soddisfacente dal punto di vista architettonico sonoro; le melodie e le parole sono arrivate solo alla fine, come una ciliegina sulla torta.

“Ricordi sepolti” sembra concludere l’album in modo significativo. Puoi condividere il significato dietro questa traccia e come la tua visione della musica si riflette in questo brano?

“Ricordi sepolti”  è uno di quei 2 brani del disco che invece sono stati scritti al volo, vecchia maniera,  chitarra e melodia, e successivamente arrangiato in studio.E’ un pezzo chitarroso e molto solido, senza tanti fronzoli. I cori cantano “un momento di défaillance”, perché di questo si tratta alla fine. Dopo aver smarrito se stessi, e facendo introspezione, ritrovandosi nell’intimità della propria isola interiore, si può serenamente guardare indietro e lasciarsi andare a una risata benefica. 

Un risveglio dopo un sonno travagliato, per poi  poter dire “ah, era solo un sogno”.

a cura di
Redazione

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