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Tutte Le Cose Inutili ci parlano del posto nel loro hard disk

Esce il 20 ottobre per Pioggia Rossa Dischi “Avrai sempre un posto nel mio hard disk”, l’ultimo lavoro del duo Tutte Le Cose Inutili, registrato in presa diretta al Greenfog Studio di Genova da Mattia Cominotto.

“Avrai sempre un posto nel mio hard disk” arriva a distanza di cinque anni dall’ultimo lavoro di Tutte Le Cose Inutili “Non ti preoccupare”. Ognuna delle nove tracce dell’album corrisponde ad una tappa di un difficile viaggio interiore che ha come meta il superamento di un abbandono. Ogni pezzo segna un passo avanti verso la soluzione: dalla solitudine di “Allontamarsi”, si arriva al congedo protagonista di “Hard disk”, passando dalla rabbia che attraversa “Tardi Tardissimo” e dall’attaccamento ai ricordi che muove “Ragazzone”.

Partiamo con il titolo dell’album: “Avrai sempre un posto nel mio hard disk”; cosa rappresenta l’hard disk?

L’hard disk, per noi cresciuti negli anni ’90, rappresenta quella scatolona magica in cui andavano a confluire tutto quello che esondava dai computer e dai telefoni e dalle loro scarse memorie del tempo. Li sono andati a finire tutti i nostri ricordi, li ci sono le foto (non sono più stampate negli album), i nostri progetti cominciati e lasciati a morire, tutte le cartelle gonfie di musica scaricata illegalmente su emule, con la quale riempivano cd con compilation di viaggio che ci accompagnavano nelle lunghe ore di autostrada per andare a suonare; lì ci sono i filmini porno di tempi meno libertini.

Sembra di parlare di un’altra epoca invece pariamo di quindici anni fa, quando eravamo adolescenti e crescevamo, e il futuro era tutto da scrivere e davanti a noi. L’hard disk rappresenta i nostri ricordi, e ci piace pensare che, nonostante tutto, una persona che se ne va dalla nostra vita lasci una traccia definita e indelebile nei nostri ricordi, nel nostro cuore, nel nostro hard disk. Inoltre, l’hard disk, come macchina e come insieme di ingranaggi, forse è un modo per riguardarsi indietro nei ricordi in modo lucido e razionale, senza che tutta una serie di passioni umane vada a confondere e dare un senso diverso a ciò che è stato.

Questo disco è stato registrato in presa diretta per “non sminuire e bloccare la vostra irriverenza e genuinità”; a livello promozionale, siete riusciti a mantenere questa caratteristica?

Grazie a dio sì, questo disco lo abbiamo scritto con tutta la calma che volevamo, senza corse e rincorse, quando ci siamo sentiti pronti abbiamo scelto dove e con chi registrarlo (Mattia del Greenfog è stata la nostra prima e unica scelta), abbiamo scelto quali singoli l’avrebbero rappresentato, abbiamo scelto la data di uscita, abbiamo scelto la grafica, l’ordine delle canzoni, abbiamo scelto a chi inviarlo prima dell’uscita,  abbiamo scelto una famiglia che lo rappresentasse (Pioggia Rossa Dischi), abbiamo scelto dove andarlo a suonare. Ci piace pensare che questa genuinità e questa passione possa trapelare, ci piace curare ogni singolo dettaglio perché queste non sono canzoni, è la nostra vita sotto forma di canzoni.

Questo lavoro racconta le varie tappe del superamento di un abbandono, è personale, ma riesce a svincolarsi da un’eccessiva autoreferenzialità; quanto è difficile raccontare la propria storia cercando di coinvolgere emotivamente anche chi ascolta? È qualcosa che richiede una particolare attenzione o anche questo elemento è frutto della spontaneità che caratterizza l’album?

Questo disco racconta una storia che tutti hanno vissuto. Dal momento in cui per la prima volta ci si sente soli (la prima canzone “Allontamarsi” ne è un chiaro esempio) e quasi non ci sembra vero, ai momenti di rabbia, ai momenti di stanchezza assoluta in cui la mente torna indietro a ripescare ricordi passati (il giorno n cui ho conosciuto tua madre), ai momenti in cui cerchiamo l’aiuto di qualcuno, una spalla di un ragazzone su cui piangere, fino alla chiusura in cui, con un briciolo di distacco, si riesce, forse, a dare valore a ciò che è stato ed è finito. Chiaramente è un disco libero in cui le canzoni vivono di vita propria e possono essere ascoltate distintamente, ma è chiaro l’argomento generale.

I due principali protagonisti di “Tardi Tardissimo” sono la provincia e un senso di distanza tra due persone; in che modo si legano questi due elementi?

In una piccola città tutti si conoscono, le stesse colline di sempre abbracciano tutto ciò che succede, e succede sempre nei soliti luoghi. Le tre colline di cui parliamo erano in copertina nel nostro disco. Dovremmo essere sempre così, uno dei luoghi principali del disco è il locale Capanno BlackOut che è l’unico live club rimasto in città e dove ancora possiamo suonare e veder suonare gente appassionata come noi. Quindi quando può fare male sentirsi lontani anni luce da una persona che abita a sette minuti precisi da te, i cui unici rimasugli di umanità si risolvono in mettere le quattro frecce per simboleggiare un saluto? La sicurezza di una provincia può diventare facilmente una prigione, in cui ti senti circondati da pazzi.

Il bano “Ragazzone” “Ci ricorda che siamo piccolissimi, insignificanti, e tra cent’anni saremo grandi ma morti, e che anche i grandi dolori e le piccole tragedie quotidiane col tempo svaniscono come si dissolve la brina la mattina.”; fare musica, dal vostro punto di vista, accelera questo processo o può aiutare a “farci sentire grandi”, a dare un senso alle piccole tragedie quotidiane prima che si dissolvano?

Suonare ci ha fatto bene, suonare ci ha fatto crescere, ci ha insegnato a volerci bene, a condividere tutto, a mettere il cuore, quello vero, in questo progetto. Ci ha insegnato a incorniciare dei momenti della nostra vita in queste canzoni che dureranno sicuramente più a lungo di noi, a nobilitare le persone e i ricordi della nostra vita. Ci ha insegnato a riconoscere le persone buone, a ringraziare senza fine perché se non ci fossero persone che continuano contro ogni logica ad organizzare concerti e offrire qualcosa noi staremmo a casa. Il suonare ci fa scoprire continuamente il lato nascosto delle cose, il significato non visibile, ci permette di ripescare, nel dormitorio del tempo, tutta la luce del nostro io passato. Secondo noi questo disco ne è l’emblema, un disco contemplativo, pieno di piccole sorprese.

a cura di
Lucia Tamburello

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