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L’ottava arte spiegata da Ciulla

“L’arte di star bene” è il nuovo album di Ciulla (Costello’s Records e Piuma Dischi) prodotto da Federico Carillo

“Io sto bene, io sto male, Ciulla ti spiega cosa fare”: un’introduzione sciocca per tentare di riassumere in breve il tema principale del nuovo album tutt’altro che superficiale dell’artista ex Violacida. “L’arte di star bene”, infatti, consiste in un vero e proprio viaggio alla ricerca della felicità, senza meta, ma con delle tappe cruciali. “Nessuno di quelli che tu ritieni felici, ma lo troverai in quel numero il quale da te viene ritenuto tra gli infelici.”: Anassagora, nel V Secolo a. C., rispondeva così quando gli venne chiesto chi fosse felice. Ciulla dà una risposta analoga in chiave moderna, a suon di cantautorato e versi d’impatto, elogiando la tribolazione dietro il tentativo di trovare un proprio stato di benessere.

“L’arte di star bene non è cosa a cui dover tenere, per non uscirne pazzi”

La discografia di Ciulla ha inizio nel 2019 con l’esordio “Canzoni dal quarto piano” (Black Candy/Peermusic) e prosegue negli anni successivi con il singolo “Mamma ho perso lo stereo” e l’ “Album dei Ricordi” (Costello’s/Black Candy/The Orchard). Quest’ultimo, composto da diciannove note vocali musicate dall’artista, rappresenta un esperimento unico in Italia. Gli ultimi tre anni “che hanno segnato il passaggio da una giovinezza sognante ad una maturità scostante” hanno dato vita a “L’arte di star bene”.

Ciao, bentrovato! Per iniziare ti chiedo cosa porta un “Ragazzo difficile” ad interrogarsi su “L’arte di star bene”? Quanto “l’arte di star male” ha influito su questa ricerca?

Ciao! Vedo che iniziamo subito con le domande difficili. Diciamo che sono da sempre un campione di rimuginio e quindi tendo molto a riflettere su me stesso e farmi mille domande. Nel disco, per “arte di star bene”, non intendo un punto di arrivo ma una ricerca continua, un viaggio, un percorso non sempre facile per conoscere me stesso. È quindi ovvio che bisogna anche passare  dallo “stare un po’ male”: l’importante è far sì che dalle crepe si insinui sempre un po’ di luce. 

Alcuni pezzi dell’album parlano d’amore; che ruolo ha questo sentimento nella “rincorsa verso noi stessi”?

L’amore non ha un ruolo totalizzante ma, senza dubbio, rappresenta una parte importantissima della ricerca. Gran parte del conoscere se stessi parte dal rapporto che si ha con le altre persone. Il fatto che nel mio disco parli d’amore vuol dire che durante la scrittura ho vissuto un periodo in cui mi sono profondamente interrogato sulla natura dei miei sentimenti e su quanto ero in grado ad accoglierli. Mi sono reso conto di quanto l’amore non è solo un qualcosa che ti succede e che devi vivere come viene: si tratta di un sentimento da accogliere, gestire e costruire in maniera attiva. Bisogna essere preparati per viverlo bene e, di conseguenza, arrecare meno dolore possibile a chi ti sta accanto. Personalmente non sono ancora bravo, ma ci sto lavorando. 

Mi ha colpita l’associazione tra provincia e perdono presente in “Povero me”; ci spiegheresti meglio questo legame?

La provincia ha tanti difetti ma forse, se da una parte non ti fa del tutto aprire gli occhi, dall’altra riesce a farti riconoscere i rapporti personali che contano di più. Se non non fai una vita da grande città hai meno distrazioni e, di conseguenza, riesci a concentrarti di più su determinate persone e determinati sentimenti. Hai dunque più tempo per tutto, anche per per perdonare.

In “Intermezzo” la voce della registrazione dice: “Ti sei guardato allo specchio senza darti del tu”; raccontaci meglio questo processo, quanto è difficile non “darsi del tu” parlando a sé stessi?

Mi fa piacere che ti sei soffermata su quella frase. La traccia a cui ti riferisci consiste in un una lettera di congratulazioni che ho scritto a me stesso alla fine della scrittura del disco e che ho fatto leggere alla persona che mi conosce più di tutte, mia madre. Con quella frase intendo che per scrivere questo album mi sono davvero guardato allo specchio in maniera adulta e quindi, finalmente, “senza darmi del tu”. È stato un processo difficile dal punto di vista del tempo impiegato ma, allo stesso tempo, liberatorio. 

“L’Arte Di Star Bene è il mio nuovo primo disco. Quello che mi ha coinvolto di più dal punto di vista produttivo e che mi ha fatto diventare grande”. Sono passati un paio di mesi dall’uscita dell’album; i feedback che ti sono arrivati hanno modificato in qualche modo la percezione che avevi del tuo lavoro a ridosso della sua pubblicazione?

Devo dire che ho ricevuto molti commenti positivi, tutti che vanno ad evidenziare quel senso di sincerità che tenevo a fare trasparire. Per la prima volta non solo ho fatto un disco in cui mi riconosco totalmente e che è venuto fuori esattamente come volevo dal punto di vista della resa finale: ho fatto un disco che sta venendo considerato proprio come desiderato, pur sapendo di avere un progetto che non rispecchia i canoni musicali del mercato musicale odierno. Quindi la risposta alla tua domanda è che no, non ci sono state modifiche a quella che era la mia percezione iniziale. Fatto questo ti confesso però che per il futuro avrei voglia di tornare a sorprendermi un po’. 

Quando e dove potremo sentirti dal vivo?

In questo periodo sono in mezzo al tour di promozione del disco, ho già fatto alcune belle date e altre stanno spuntando. Di certo al momento so che mi vedrete il 13.05 all’Ink Club di Bergamo, l’ 08.06 all’ Ul caminett’ Social Cafè di Canegrate (MI), il 22.06 a Milano da Cascina Nascosta e l’08.07 a Rockunmonte Festival con i Management. In più, se vi va, vi consiglio di seguire il mio progetto parallelo Italians a Go-Go con il quale abbiamo tantissime date in programma. 

a cura di
Lucia Tamburello

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