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“Scintille”, il primo EP del cantautore italo-francese Giglio raccontato dall’artista

Uscito il 31 gennaio 2023, “Scintille” è il nuovo EP del cantautore jazz Max Giglio. Un lavoro che si presenta ricco di canzoni-diario, in cui la quotidianità e i sentimenti vengono raccontati senza filtri in un’atmosfera bohémien e vintage anni ’70

Si intitola “Scintille” il primo EP pop del cantautore jazz Max Giglio. L’EP contiene in totale quattro canzoni e l’atmosfera in cui si è immersi ha tinte vintage anni Settanta e bohémien. In questo disco, il jazz incontra l’indie pop con suoni sia ironici che malinconici. Ogni canzone è un racconto di appuntamenti romantici e semplici passeggiate con gli amici, ma anche di momenti di furore e inevitabili delusioni amore. Max Giglio riporta nell’album “Scintille” delle vere e proprie cartoline di vita. Tuttavia, per conoscere al meglio la sua carriera artistica nel mondo della musica, l’abbiamo intervistato. Ecco le sue parole:

Ciao Max, benvenuto su Posta Indipendente! Iniziamo col presentare il tuo nuovo EP ‘Scintille’.
Illustraci un po’ questo tuo nuovo progetto, come è nato e cosa vuoi comunicare.

Ciao, è un piacere raccontarvi un po’ i retroscena di “Scintille”. Questo nuovo progetto è nato durante il primo lockdown, ho iniziato a scrivere brani che erano meno jazzistici rispetto a quelli composti per il mio lavoro precedente (l’album Cities and Lovers uscito per Emme Record). Mi sono reso conto che volevo esplorare un nuovo approccio alla musica e dare spazio alla mia vena più indie pop (senza però rinnegare il mio background jazz).

In questo percorso è stato fondamentale l’incontro col producer Paolo Caruccio (in arte Fractae) che ha capito subito la direzione in cui volevo andare. Come dico sempre è l’uomo che realizza i miei sogni (musicali eh!). I quattro pezzi di questo EP sono una specie di diario, quattro cartoline della mia vita che volevo condividere col pubblico.

Mi sono reso conto facendo uscire “La Scintilla”, il primo singolo, che a volte una storia che ci sembra riguardi solo noi è molto più condivisa e comune di quanto possiamo pensare. Molte persone mi hanno scritto dicendomi che si sono sentiti e sentite perfettamente rappresentati dal testo della canzone, non me l’aspettavo ma forse queste scintille che non scattano sono tipiche dei nostri tempi in cui le app di dating vanno per la maggiore…

Sei italiano, hai studiato in Francia, ma il tuo primo album è dedicato al cantautorato brasiliano.
Spiegaci un po’ questa tua poliedricità musicale e il legame che hai con la scena musicale francese e brasiliana.

Allora, mia mamma è francese e ho avuto la fortuna di crescere tra due lingue e due culture, penso mi abbia dato una predisposizione nell’imparare nuove lingue e assorbire nuove culture musicali. Per me studiare una lingua è strettamente collegato all’approfondire anche la sua tradizione musicale. All’università mi sono innamorato del portoghese e della bossa nova. E’ un genere che mi è molto affine (approfondirò il tema della famosa “Saudade” un po’ più avanti) e a cui mi sono dedicato molto.

Ci sono molte più interconnessioni tra scena musicale brasiliana e scena musicale italiana di quanto si possa pensare: molte canzoni brasiliane furono adattate in italiano e viceversa, e è quel tipo di scambio che ho voluto approfondire nel mio primo album, Arco-íris. Per quanto riguarda la scena musicale francese, mi influenza soprattutto dal punto di vista delle produzioni musicali, le trovo molto stilose, una bella sintesi tra l’elettronica e il vintage (penso a artiste come Clara Luciani o Christine and the Queens).

Nei tuoi brani presenti un quadro di serena quotidianità immerso in una musicalità spensierata tra l’indie-pop e il jazz, ma dietro a queste si cela una sorta di malinconia, di retrogusto amaro.
Parlaci di questo contrasto.

Non ci avevo fatto caso ma riflettendoci devo riconoscere che è vero, e penso sia un’influenza della cultura brasiliana. La “saudade” è un sentimento agrodolce, una malinconia godereccia in un certo senso. In moltissime canzoni brasiliane c’è un contrasto fortissimo tra il messaggio del testo, spesso drammatico o impegnato, e quello della musica, molto ritmato e apparentemente
spensierato. E’ una cosa che mi piace da morire e che inconsciamente traspare nei miei pezzi.

In “Felicità (banale)” parli del tuo edonistico punto di vista riguardo alla vita.
Vivi anche la tua vita di tutti i giorni secondo il principio del “basta poco per essere felici”, o a volte questo ottimismo viene a mancare?

Sì, il “basta poco per essere felici” è un motto che mi è caro e che riesco a seguire abbastanza nella mia vita di tutti i giorni, poi chiaramente ho anche i miei periodi più cupi, e menomale in un certo senso. Forse ho scritto “Felicità (banale)” proprio per quei momenti bui, per avere un qualcosa che mi ricordi che tutto passa e che anche nei periodi di crisi ci sono cose belle intorno a noi.

Esiste un filo conduttore che collega questi quattro pezzi dell’EP?

Ti direi il desiderio di unire jazz e pop in varie formule e anche a livello testuale un’attenzione particolare per le piccole cose della vita quotidiana, come se avessi voluto inserire tutte le cose che mi fanno stare bene nelle mie canzoni: un caffè con un amico/un’amica, un quaderno scritto a quattro mani, barattoli e utensili, tavole apparecchiate, tramonti… Un po’ il “Favoloso Mondo di Giglio” insomma

Nell’album è ricorrente il tema delle relazioni sentimentali, ma solo sottoforma di amore non corrisposto, o complicato, lontano, persino impossibile.
Spiegaci il tuo rapporto con l’amore, e se è così buio come traspare da questo ultimo album.

In amore per molto tempo ho alternato momenti di euforia a momenti di disperazione, però ultimamente la mia visione è un po’ cambiata, complice anche un percorso di psicoterapia, dò importanza a cose diverse e cerco di non ricadere nei soliti pattern (quelli descritti in “la Scintilla”).

Mi sono reso conto osservando me stesso e persone che mi sono care che spesso ci mettiamo da soli in situazioni impossibili, la maggior parte delle volte in modo inconscio. Come se avessimo bisogno di stare male e del fallimento per capire delle cose di noi stessi. Ho scritto il brano
“Piccole Ferite” in parte per quello, quando smettiamo di dare la colpa agli altri e alle circostanze e ci curiamo di noi stessi , accettando le nostre ferite e insicurezze, allora forse possiamo davvero lasciarci andare e costruire un rapporto sano con un’altra persona.

a cura di
Elisa D’Aprile

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