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Esce “Rude Boys”, il primo film del collettivo ligure Asado Film

“Rude Boys” è il primo film scritto, diretto, interpretato e musicato dal vivo da ASADO FILM, collettivo ligure di musicisti e film maker composto dal regista e musicista Francesco Traverso, da Olmo Martellacci (bassista/tastierista degli Ex-Otago), dal cantautore Matteo Fiorino e dal dubmaster U’Elettronicu, al secolo Gabriele Repetto.

“Rude Boys” è un omaggio al cinema italiano degli anni ’70 con riferimenti ad un certo cinema americano degli stessi anni, fatta eccezione per la scena di chiusura “Marmotte” che, di fatto, rappresenta una cover di un videoclip degli anni ’90.

“Rude Boys” è concepito come la puntata di un telefilm in costume in cui gang rivali si scontrano tra loro in un paese quasi disabitato. Il live, dove la proiezione del film è accompagnata dalla colonna sonora suonata dal vivo, è una extravaganza, un omaggio al cinema muto, uno spettacolo fuori dal comune e senza precedenti (fino a prova contraria).

Le nostre domande per i ragazzi di Asado Film:

Ciao ragazzi, parliamo di questo vostro primo singolare e ipnotico film che si struttura in undici videoclip accompagnati da undici brani diversi. C’è un collegamento tra la scena e il brano ad essa associato?

Premetto che singolare ed ipnotico sono due gran bei complimenti, grazie. Ogni canzone di “Rude Boys” è il nostro commento alla scena che si sta vedendo. Alcune canzoni hanno preceduto le immagini e viceversa; diciamo che il disco e il film si sono sviluppati armoniosamente insieme.

Le undici scene del film appaiono come slegate. C’è un filo conduttore che le unisce?

Il filo conduttore è quello di un episodio di un telefilm, a partire dalla sigla che ci introduce i protagonisti. C’è una storia che si può seguire e che si conclude con la fine della puntata e qualche spunto nel frattempo che chiude o apre ad altri sviluppi.

C’è una motivazione ben precisa legata alla scelta di tornare al cinema muto?

La scelta del cinema muto è in primis legata al fatto che noi non siamo degli attori e l’uso della parola avrebbe sicuramente complicato la realizzazione del film. Inoltre, e questa è la ragione principale, un film muto musicato dal vivo è internazionale, non ha bisogno di traduzioni e non limita la comprensione. Quindi l’abbiamo fatto per puntare anche all’estero.

Il film è permeato da una costante sensazione di alienazione, disordine, confusione, mentre l’ambientazione è ordinaria, cittadina. Come mai avete deciso di filtrare il film attraverso questo ossimoro?

Noi abbiamo deciso di girare questa storia in un luogo a noi conosciuto, perché sono i personaggi a dare un diverso significato alle ambientazioni. Come spiegavamo ai Carabinieri, che un giorno ci avevano fermato perché erano “curiosi” di quello che stavamo facendo in mezzo ai palazzi, un certo tipo di cinema sperimentale si può girare anche tra le case popolari di un paese ligure.

C’è un messaggio che avete intenzione di veicolare con questa vostra prima opera cinematografica?

Nessun messaggio, “Rude Boys” vuole essere soltanto una extravaganza.

Vi siete ispirati a qualche regista o opera in particolare per la realizzazione del film?

Sicuramente abbiamo studiato un certo cinema degli anni 70 ma anche telefilm e video musicali più legati ad un concetto di opera d’arte che a meri fini promozionali.

Il film si chiude con un criptico ‘nel prossimo episodio’, seguito da una serie di altrettanto enigmatiche scene. Cosa dobbiamo aspettarci dal sequel?

In verità nel prossimo episodio è la tipica anticipazione che si trovava nei vecchi telefilm. Noi l’abbiamo usata come escamotage per fare un bis a fine concerto. Volevamo aggiungere qualcosa e, per “Marmotte”, abbiamo deciso di fare questa cover video di “How Deep Is Your Love” dei Take That, rigirato shot by shot, che come atmosfere ci ricordava molto le nostre. Mi ricordo che il pomeriggio MTV ne censurava addirittura la scena della forchetta…Per i prossimi progetti, invece, abbiamo in mente di addentrarci nella cucina e nella storia. Speriamo di farlo al più presto.

a cura di
Elisa D’Aprile

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