Battista e i suoi rimedi contro “La fame nera”
È l’istinto a spingere la creatività di Battista, lo dimostra il nuovo album dell’artista abruzzese “La fame nera” che, schietto e crudo, entra senza chiedere il permesso nella coscienza di chi lo ascolta
“La fame nera” arriva ad un anno dall’uscita del primo album eponimo di Battista, raccoglie le riflessioni del cantautore riguardo temi sociali e sentimentali lasciando trapelare l’invettiva che muove la scrittura dei testi. Attraverso l’intreccio di chitarre elettriche e acustiche, di suoni distorti e cori disturbanti crea il perfetto tessuto sonoro per le tematiche trattate. Si percepisce chiaramente la maturità artistica e l’esperienza di Battista che con il progetto Aypo (Avezzano Young Pop Orchestra) ha condiviso il palco e suonato per artisti come Gino Paoli, Fabio Concato, Ron, Audio 2 e Fabrizio Bosso.
Copertina
Ciao Pierpaolo! Quando si è manifestata per la prima volta l’urgenza espressiva che ti spinge a scrivere le canzoni? La provincia ha contribuito ad alimentarla?
L’esigenza di creare qualcosa di personale ricordo di averla sempre avuta. Con la musica è successo a circa undici anni, il periodo in cui avevo deciso di imparare a suonare la chitarra. Ho sempre scritto brani strumentali e canzoni sia con le band che da solo, ma solo da qualche anno sto pubblicando da solista.
La provincia ha sicuramente contribuito ad alimentare questa mia “fame”, intesa sia come voglia di fare che come privazione di un qualcosa che non è mai facile definire. La provincia ti battezza e ti rimane addosso. Mi ha regalato il silenzio e il tempo per fare le cose ma anche l’indolenza e “il chiacchiericcio”, quello degli occhi che squadrano il diverso. Tutto sommato mi piace. Almeno per ora.
Vivere in provincia potrebbe risultare sfavorevole per un artista e per certi versi lo è, ma ultimamente mi viene da pensare che le opportunità di vita che offre possono ripagare l’assenza di un confronto come quello che avviene nei grandi centri. Tuffarsi nella metropoli può essere altrettanto gratificante ma attualmente credo che se non si sta bene con se stessi si sta male ovunque.
“Ho una voglia di nulla infinita/all’amore non ci credo più/non si giustifica la fatica…”. Ascoltando “Tossico” ho avuto l’impressione che tu abbia voluto evidenziare come il mantra “se ti impegni ce la fai”, tipico delle società di stampo liberista, subentri nei rapporti amorosi, è così?
Sì, ha a che fare anche con questo, ma non solo. Ti spiego come la vedo tecnicamente. “Tossico” per me è uno di quei testi che definirei “matrioska”: rimandano ad immagini che potrebbero risultare sconnesse tra loro, ma in realtà sono tutte collegate ed esprimono concetti che si inglobano o catturano a vicenda, perciò ogni frase può appartenere ad un soggetto o al suo interlocutore, riferirsi ad un rapporto amoroso, lavorativo e qualsivoglia esistenziale. Ad esempio la prima strofa “Pensare che stavo con te/ per vederti ridere/ non ad avvitare i figli nelle paranoie/ della mie mente che non capisco” introduce il punto di vista di un ipotetico genitore e la strofa dopo suggerisce quello di un figlio.
In questo continuo scambio si fondono le vite. Spesso con ciò che scrivo mi piace porre domande anziché offrire risposte. Le domande in questo brano dovrebbero scaturire dopo le frasi avventate enunciate in prima persona da un immaginario protagonista e rivolte a un genitore, un figlio, un amico, una folla o nessuno in particolare.
Pensieri che esprimono rabbia, sconforto, delusione, impotenza o sentimenti che scaturiscono dalla consapevolezza di non avere mai nulla sotto controllo. Il tono è quello di un ragazzo capriccioso che se la prende con la madre perché quello che lei stessa gli aveva promesso non si è avverato. Penso sia una scena che rappresenti in qualche modo il rapporto della mia generazione con quella che l’ha generata (condizionate entrambe in parte dall’economia liberista) e non è colpa di nessuno.
Oggi
Al di là dei conflitti generazionali, prima il periodo della pandemia e ora la guerra in atto non fanno che martellare sugli interrogativi. Chi è l’individuo? Cos’è la società? Non mi sembrano netti i confini. Siamo davvero responsabili delle nostre azioni? Abbiamo davvero possibilità di scelta? A tutto questo fanno da sfondo la noia da riempire con una dose, un futuro sempre incerto che nemmeno le paranoie (lecite o meno) sulle quali ci hanno detto di scommettere (in amore, nel lavoro, in salute o malattia finché morte non ci separi) potranno spazzare via. Non è facile accettare questa condizione ma pare sia la regola che permane attraverso i secoli, senza vittime né carnefici.
Nel singolo “Mangiala” descrivi la scena in cui un soggetto scorre sul telefono delle immagini di guerra evidenziando il parallelismo tra due mondi diversi e il distacco emotivo che si viene a creare tra gli individui. La tecnologia è la causa o l’effetto, secondo te, dell’avanzamento dell’anomia sociale?
Secondo me può essere entrambe le cose. In “Mangiala” ho voluto descrivere questa immagine perché la ritenevo peculiare della nostra epoca. La sviluppo tecnologico tra le tante cose ci ha portato a raggiungere a titolo informativo eventi che accadono in tempo reale a migliaia di chilometri di distanza. Questo può provocare dei cambiamenti in noi, può renderci la vita più facile o più difficile, dipende anche come siamo disposti ad affrontarla. Potremmo sentirci impotenti, arrabbiati, sollevati o tristi nella consapevolezza di ciò (meravigliose o orribili) che accade in mondi differenti dal nostro, ma se mai volessimo cambiare le cose, dovremmo cambiare prima di tutto noi stessi e non accettare ogni piatto che il convento passa.
Altrimenti se non facciamo nulla e deleghiamo la scelta ad altre entità vuol dire che in fondo va bene così nonostante tutto. Questo è uno dei sensi generali della canzone in cui si infila il concetto di tecnologia, che penso sia un’arma a doppio taglio: non possiamo affidarci sempre e comunque ad essa ed alla sua efficienza, perché la natura dell’uomo non è sempre efficiente e la tecnica non contempla cose che sono di fondamentale importanza per la nostra esistenza.
Ascoltando il disco, per quanto i testi siano molto diretti e critici, non ho mai notato la presenza di un intento moraleggiante. È un effetto voluto?
Sì. Quando scrivo cerco di depurarmi il più possibile dai contenuti morali. Questo perché penso che la morale sia per sua stessa natura relativa, lascia il tempo che trova e cambia a seconda del tempo e del luogo in cui si vive. Questo non vuol dire che io non abbia una morale: io credo di avere dei valori che mi sono stati tramandati e in cui mi riconosco e tali valori sono utili alla mia sopravvivenza, scambio e confronto con la società e non ritengo che questi valori siano migliori di altri, non mi sentirei mai dalla parte giusta o sbagliata, né migliore o peggiore di qualcun altro.
La morale è fondamentale per la convivenza, lo è altrettanto l’astrazione dalle regole stesse che la fondano. Uno dei luoghi dell’arte penso sia proprio questo, riuscire ad esprimersi senza giudicare, dar sfogo alla follia senza regole, ciò che non facciamo nella vita reale abbiamo modo di veicolarlo nella creazione. In conclusione della risposta cito Fabrizio De André:
“Io ho sempre pensato che ci sia ben poco merito nella virtù e poca colpa nell’errore, anche perché non ho mai capito bene che cosa sia la virtù e cosa sia l’errore “.
Hai delle date in programma? In che modo hai intenzione di presentare “La fame nera” dal vivo?
Recentemente ho eseguito in qualche locale del Lazio e Abruzzo brani vecchi e nuovi in acustico.
Attualmente sto lavorando con la mia band alla costruzione di un concerto dal vivo. Per ora ho poche date in programma, spero che con la promozione dell’album si riesca a suonare un bel po’.
Il tuo album “ravviva la linea che separa l’arte dall’intrattenimento”. Quali sono le caratteristiche che secondo te distinguono la cultura “alta” da quella “bassa”?
Non ritengo esista una cultura alta e una bassa. Se ci si riferisce ai trend della musica commerciale come musica “bassa”, trovo un po’ noioso il fatto che venga data attenzione alle solite tematiche, forse perché la cultura è in assoggettata alla religione del consumismo.
In questo particolare momento sembra che gli unici temi che possano coinvolgere la gente siano quello della relazione amorosa finita male o che risplende di gioia, oppure i soldi, le macchine, le “fiche” ecc.
Continua
Da una parte lo capisco, perché provo a immedesimarmi nei panni di chi la musica la vive come una cosa marginale o non la vive proprio e penso sia anche comprensibile. Mi è più difficile comprendere chi invece come me sceglie di vivere di musica o nella musica (e non parlo solo di lavoro) e poi alla fine ricerca quello che la gente vuole e non quello che può interessare per se stessi come ricerca personale o collettiva. Mi riferisco non solo ai musicisti ma a tutto il mondo che vive di musica (compresi giornalisti) che spesso si lamentano dell’omologazione dell’arte e poi sono i primi ad enfatizzare quel sistema con le loro scelte e il loro tempo, il tutto in un’ottica commerciale di consumo.
Forse lo fanno sinceramente e il loro gusto combacia in realtà con quello che interessa anche al commercio o con quelli che sono gli argomenti più in voga attualmente. Per non parlare poi della musica strumentale che, quasi inesistente per la maggior parte del pubblico, sembra esser oggetto d’attenzione solo per chi quella musica la compone, come a dire che la musica abbia meno importanza senza parole. In ogni caso queste osservazioni sono solo frutto della mia esperienza e lasciano il tempo che trovano. Sono anche consapevole che molti seguono un’altra linea e per farlo compiono dei sacrifici. Non per questo sono migliori degli altri e ancora di più il discorso vale per me (tanto per tornare all’argomento della quarta domanda).
A parte queste osservazioni che ci tengo a definire senza morale o giudizio, per me l’arte non è intrattenimento, ma una scelta di vita, un’esigenza che corrisponde con l’esistenza stessa. Sarà per questo che affronto determinate tematiche. Ma non le definirò mai più alte o più basse, migliori o peggiori di altre. Sono fatto così.
Per salutarci vorrei chiederti se “La Colla nella pancia” si possa curare con “La fame nera”?
Certo, almeno finora. Per me lo è tutti i giorni. Spero sia così fino alla fine.
a cura di
Lucia Tamburello