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Disagio fuori con l’EP omonimo: manuale di soppravvivenza

È uscito in aprile Disagio EP dell’omonimo cantautore salernitano. Oltre ad essere un lavoro musicale è una condivisione di un disagio durato dieci anni. Uno sguardo lucido della società e l’interazione col mondo contemporaneo raccontato con sagacia e ironia.

Disagio in realtà è lo pseudonimo di Donato Ciao. Classe ’90, è rimasto saldamente ancorato alla realtà del Sud scoprendo la sua vocazione di creativo. Mentre secondo il rapporto Eurostat la Campania è considerata la regione con il più basso tasso di occupazione in Europa, Donato aka Disagio va decisamente controcorrente. Ha militato nella band garage Hot Fetish Divas come frontman dal 2007 al 2012 girando la penisola fra live club e Festival. Dopo dieci anni ritorna a fare musica con un progetto personale e una nuova consapevolezza.

L’idea di base è raccontare il disagio e il modo di affrontarlo. Fin dal primo pezzo Non si cantano messe, Disagio mostra la sua identità: soldi non ne ho, ho speso tutto in birra e droga già da un po’ e ancora son seguace di Maria, lei mi indica la via. Sfrontato e irriverente ma sincero senza mezzi termini come un don Chisciotte salernitano lanciato nella penisola. Musicalmente sembra di essere finiti negli anni ’90, con sonorità che ricordano i primi Verdena e Afterhours e chitarre in salsa shoegaze fra i My Bloody Valentine e i Ride. Ma questo non è un difetto, anzi.

Osservatore lontano dalle mode

Con A-Social Disagio esprime il suo pensiero sui filosofi da tastiera o il saggio perbenista che si spaccia per artista. Disagio è un osservatore lontano dalle mode, dalle illusioni dei social. Un romantico disilluso ma con la schiena dritta, fuori dai tempi, consapevole delle proprie scelte e dei propri sbagli. Ma Incompiuti è un brano che ti entra nel cervello con quella apparente leggerezza. Rischiate seriamente di ritrovarvi in macchina a cantare le tue frasi compiute son come l’autostrada, la Salerno-Reggio Calabria non l’hanno mai finita.

Ma lasciamo che questo spirito a metà fra un Joe Strummer e Rino Gaetano, insieme ubriachi in un bar, ci parli un po’ di sé e del suo stralunato, autentico e pazzo mondo.

Ho letto che hai militato in una band garage con un tour concluso nel 2012. Ora sei tornato come Disagio. Comincerei con una citazione tratta da “C’era una volta in America”… “Cosa hai fatto in questi dieci anni?

In questi dieci anni ho fatto davvero tante cose, ho commesso tanti errori, sono caduto e mi sono rialzato. Ho costruito, distrutto tutto e poi ricostruito tutto da capo. Ho trascorso diversi anni a cercare il mio posto nel mondo finché non ho capito che in realtà il mio posto è dove sono nato, a sud, nella mia terra. Spesso ci si illude che andando via (o scappando via) si possa trovare l’America ma in realtà la vera sfida è costruire mattone su mattone la propria realtà senza compromessi.

Da frontman della garage band Hot Fetish Dive a cantautore, come è avvenuto il passaggio?

Dopo lo scioglimento degli Hot Fetish Divas nel 2012 per un po’ di tempo ho messo in stand-by la musica ricercando altre modalità di espressione. Ho coltivato la creatività acquisendo nuove e variegate competenze che sono oggi alla base del mio percorso artistico e professionale. Alla fine ho deciso di mettere a frutto la cosa che so fare meglio e oggi sono un creativo di professione.

E qui è nato il Disagio?

Per me non c’è cosa più appagante di generare nuove idee e creare connessioni tra mondi e contesti apparentemente lontani. È adrenalina pura. Posso dire che in questi dieci anni non ho mai smesso di alimentare la mia curiosità e tutte le esperienze che ho vissuto hanno contribuito alla nascita di Disagio. Spesso in questi anni mi sono aggrappato a Disagio che è diventato l’altra metà. Donato osserva, Disagio elabora e dice ciò che Donato vorrebbe dire. Quando Disagio esagera Donato lo riprende, quando Donato incassa i colpi della vita Disagio reagisce. Funzioniamo bene insieme.

Musicalmente sei rimasto coerente con la tua cifra stilistica ma ti sei riscoperto autore di testi in italiano. Come è avvenuto questo cambio e quando hai deciso di adottare i testi in italiano?

La transizione all’italiano è avvenuta senza che me ne accorgessi. Nel 2015 ho avvertito la necessità di mettere nero su bianco i miei pensieri e spontaneamente ho iniziato a farlo in italiano. Dopo circa tre anni mi sono accorto di aver scritto davvero tante cose che però non avevano un ordine ben definito. Da quel momento in poi mi sono concentrato sul metterle in ordine. Inizialmente l’idea era di scrivere una raccolta di storie per “bambini cresciuti”.

E invece la pandemia che cambiamento ha portato nella tua vita e nel disagio?

La pandemia ha segnato profondamente la vita di ognuno di noi. Nel corso del primo lockdown ho rivalutato tante cose della mia vita e ho dato spazio a quelle che mi fanno stare bene, tra cui la musica. Così è nato Disagio EP, il mio lavoro di esordio pubblicato lo scorso 8 aprile. 

L’idea alla base è molto semplice: il “disagio” è una di quelle sensazioni che tutti abbiamo provato almeno una volta nella vita. Probabilmente non si è mai pronti ad affrontarlo e l’unica cosa che si può fare è reggere il colpo. Il disagio, però, ha da sempre un grande potere generativo: è la miccia che si consuma fino a pochi attimi prima dell’esplosione, può diventare rabbia, disordine e frustrazione oppure forza, tenacia e motivazione. Dipende da te.

Chi sono i musicisti con cui hai collaborato alla stesura del tuo EP omonimo?

Ho avuto la fortuna di trovare sulla mia strada vecchi e nuovi amici che hanno subito abbracciato il progetto. I musicisti che mi accompagnano in questa avventura sono Giovanni “Joe Mitraglia” Gonnella già batterista degli Hot Fetish Divas, Vincenzo Marzullo, bassista durante le scorribande live, in studio si è occupato della produzione e del mix. Ultimo ma mai ultimo Federico Palladino, bassista prestato alla chitarra e grande capo di Blackbird Studio. Il mastering è stato curato da Salvatore Addeo presso l’Aemme Recording Studios (Non si cantano messe, A-Social e Incompiuti) e da Filippo Strang “Trappolone” (“10 Agosto”) presso il VDSS Studio.

Mentre molti adottano i social come mezzo di promozione e relazioni col pubblico tu vai contro corrente in A-Social descrivendo l’altra faccia della medaglia. Credi davvero che sia deleterio il loro uso?

C’è sempre un’altra faccia della medaglia e non bisogna mai generalizzare. Indubbiamente i social media hanno cambiato profondamente le dinamiche di interazione sociale divenendo un potente strumento di comunicazione e di promozione per persone, brand, aziende, musicisti e artisti di tutto il mondo. Di buono c’è che i social media hanno indubbiamente democratizzato la possibilità di espressione essendo uno strumento alla portata di tutti, ma come ogni strumento la differenza sta nell’utilizzo che se ne fa.

E allora cosa hanno che non va?

L’altra faccia della medaglia di cui parlo è quella che ha uniformato ed appiattito il nostro immaginario visivo e i canoni di bellezza della società moderna. Basta fare un giro su Instagram per capire ciò che intendo dire. A mio parere il problema è nato quando i social media, che dovrebbero aiutarci ad esprimere democraticamente la diversità, hanno iniziato a produrre omologazione: corpi tutti uguali, facce tutte uguali, filtri tutti uguali.  L’omologazione non è interessante, le cose migliori e inaspettate succedono quando c’è diversità. Lo diceva anche Darwin d’altronde.

Ritieni di suonare male la chitarra come Rino Gaetano e Joe Strummer insieme ubriachi in un bar, ma hai preso due personaggi che, a modo loro, non erano dei virtuosi dello strumento ma hanno lasciato il segno per le generazioni a venire. Non sarebbe un bel modo per superare il disagio?

Spesso rifletto su quanto sia molto più difficile rendere le cose semplici anziché aggiungere complessità. Penso che la semplicità paghi sempre e mi piace citare questi due artisti perché credo siano la dimostrazione di quanto la semplicità possa lasciare il segno. Personalmente punto a lasciare il segno del mio passaggio sulla terra in ogni cosa che faccio, ma per quanto possa impegnarmi non credo di poter mai eguagliare due artisti del calibro di Rino Gaetano e Joe Strummer.

Ok, ma bisgnerà pur iniziare in qualche modo, no?

Il punto di partenza per lasciare il segno è sicuramente avere qualcosa di interessante da dire. Successivamente ci si scontra con la complessità di dire quel qualcosa nel modo giusto, alle persone giuste, nel momento giusto, restando diversi, fuori dalle convenzioni. Rino Gaetano e Joe Strummer hanno fatto esattamente questo. Due artisti “semplici” ma profondamente complessi, ribelli, non convenzionali, controcorrente e provocatori. Entrambi con ironia e intelligenza hanno cantato messaggi di denuncia sociale e politica, abilmente nascosti da testi apparentemente leggeri e disimpegnati.

E quindi, in definitiva, come definiresti il Disagio?

Nelle mie canzoni mi piace mascherare di leggerezza la complessità: Disagio è il rappresentante sindacale di una generazione che vive in bilico tra ciò che “era una volta” e ciò che potrebbe essere un giorno. È un tizio che non le manda certo a dire, che con irriverenza e lucida sagacia racconta fatti e convenzioni della società contemporanea. Parlo di vita, di crisi generazionali e di problemi che tutti abbiamo toccato con mano almeno una volta e mi piace farlo senza tener conto di “modelli”, convenzioni e imposizioni. O mi ami o mi odi!

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