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Francesco Pintus ci racconta “Tasche vuote”

In occasione della sua ultima uscita discografica dal titolo “Tasche Vuote”, abbiamo fatto qualche domanda a Francesco Pintus, cantautore calabrese di stanza a Padova con tre singoli all’attivo e un disco ormai di prossima pubblicazione, interamente prodotto da Fabio Grande e Pietro Paroletti.

L’intervista
Ciao Francesco, come stai all’alba di questo ritorno da indipendente, con “Tasche vuote”?

Ciao ragazzi! Bene, sono molto carico e curioso di sapere che effetto avrà sulle persone rispetto ai primi due pezzi.

Ecco, partiamo da questo concetto che trovo interessante: tu non hai la spinta di nessuna etichetta, la tua è una scelta oppure una condizione inevitabile?

Inizialmente era una condizione inevitabile (un po’ di anni fa) e che soprattutto credevo che mi penalizzasse per forza di cose. Con il tempo ho capito che si, erano necessari sforzi diversi per lavorare solo con le mie gambe, ma che certamente avrei lavorato al massimo per me stesso. Le proposte di piccole etichette sono arrivate solo dopo che ormai avevo registrato e prodotto il mio disco da me, ma a quel punto per questo primo disco ho deciso di andare avanti da solo perché non mi sembrava arricchissero il progetto di nulla in questa fase.

Così ho avuto la possibilità di essere artefice di tutto, dalla produzione, all’estetica, alla comunicazione. Cerco anche le date per i live completamente in autonomia e questo si, forse è penalizzante perché non si può improvvisare un lavoro professionale che è giusto e necessario che facciano altri. Questo per dire che quella dell’auto-booking si, è una condizione inevitabile molto più di altre.

Cosa significa oggi “essere indipendente” e quali sono i più grossi ostacoli.

Voglio essere sincero, gli ostacoli più grandi sono di natura economica, per quanto si possa poeticamente dire che è necessaria l’arte ad oggi è limitante. Se si scrivono delle belle canzoni, a maggior ragione è necessario che siano prodotte bene e con gusto, che siano suonate da persone in gamba e rese ascoltabili a degli standard che oggi pare crescano sempre più. Quindi è ovvio che lavorare da indipendente in maniera totale ha la grossa difficoltà di non riuscire (la maggior parte delle volte) a realizzare tutto ciò che sarebbe necessario per la promozione di un disco.

Es. se hai sostenuto da solo i costi di registrazione e di produzione magari poi non riesci ad avere un ufficio stampa, o se riesci nelle prime due cose allora non realizzi un videoclip oppure non riesci ad avere strumentazione di alta qualità sul palco. C’è il merch da realizzare, i dischi da stampare. Essere un artista indipendente (oltre che una follia) è sostanzialmente come gestire una start-up incentrata su te stesso che sai che non porterà mai utili, è tutto un investimento sulla tua musica che viene dalla passione e dalla determinazione di farlo, prima di tutto per te stesso. Ecco, forse le ultime righe rispondono anche a cosa vuol dire essere indipendente.

Tre singoli diversi pubblicati fin qui, che tuttavia dimostrano come la tua sia una scrittura cantautorale raffinata, ricercata e “old school”, a suo modo. Ci racconti come sei “cresciuto” musicalmente parlando?

Sono cresciuto studiando sempre musica fin da molto piccolo. Inizialmente musica classica, poi da quando sono diventato un ascoltatore critico e ossessivo la voglia di suonare quello che ascoltavo mi ha spostato su mondi molto diversi. Come tanti, ho esplorato vari generi finchè intorno ai 16-17 anni mi sono imbattuto nel cantautorato italiano anni 70/80 che per me fino a quel punto era solo un ascolto indiretto di dischi dei miei o di classici della musica italiana. Ho iniziato ad approfondirlo molto ed è stata la prima volta che ho capito quanto potesse essere interessante non solo riprodurre quello che sentivo ma metterci del mio, trovare un mio modo di comunicare tramite la musica, un mio linguaggio. Da lì ho iniziato a scrivere, prima tanti testi, poi melodie e poi con gli anni arrangiamenti. Ed eccoci a questo primo disco.

“Tasche vuote” è un singolo che a suo modo pare essere anche un po’ una confessione, uno sfogo malinconico. Cosa c’è, ora, dentro le tasche di Pintus?

Qualcosina in più rispetto a quando scrissi questo pezzo visto che nel frattempo ho finito l’università e ho un lavoro ahahah. Scherzo ovviamente, c’è meno rassegnazione, più voglia di fare e meno di aspettare, sempre la solita paura ma che provo a contenere in delle scatole che temporaneamente si aprono senza la mia volontà.

Ovviamente, almeno speriamo, c’è un disco in uscita ormai…

Si, il disco c’è ed esiste da sempre, dal giorno in cui ho pubblicato il primo singolo. Ho aspettato per avere dei feedback più lenti e per aspettare che la situazione live migliorasse. Ma i primi di Maggio uscirà tutto il mio primo disco.

a cura di
Redazione

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