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Intervista a Il Grigio e le sue dualità

Intervistiamo il cantante Il Grigio che ci racconta un po’ di cose su di sé e sulla profondità dei suoi lavori

Il Grigio, di nome Dario Pellegrini, è un cantautore di Bergamo che vive a Trento. Si divide tra musica e università e da questo ne esce un progetto musicale trasversale composto dalla sua chitarra acustica, suoni puliti ed una voce schietta.

Nel 2018 pubblica il suo primo Ep “Il Grigio vol.1” l’anno dopo esce “Il Grigio vol.2” e nello stesso anno “Risiko”, nel 2020 “Avrei bisogno di parlarti” e nel 2021 una live session su Youtube, “Colors”, con brani inediti.

“La primavera in una camera” è il suo nuovo singolo prodotto in collaborazione con il bassista veronese Stefano Lanza. Il progetto si presenta come un manifesto dell’ultimo anno, per tutti coloro che sono rimasti in silenzio aspettando un cambiamento.

Il video è girato su un prato a Baselga di Pinè e a casa de Il Grigio con l’intento di ricreare un’atmosfera mistica ma dal gusto vintage. La sua musica è un compromesso tra suoni acustici e beat elettronici. Mai solo bianco e mai solo nero.

Noi vogliamo vedere la sua dualità e lo abbiamo intervistato.

Sappiamo che studi all’università: quanto distante è il tuo corso di laurea dalla musica? E se lo è, hai trovato il modo di unirli o sono un’altra delle tue dualità?

Sono all’ultimo anno di magistrale in Sociologia e Ricerca Sociale qui a Trento. Niente a che vedere con la musica, e quindi in senso stretto sarebbero due cose distanti l’una dall’altra. In realtà non è così, dal momento che il progetto ha iniziato a prendere forma quando mi sono spostato per l’università; inoltre, nei miei testi parlo spesso di mie esperienze personali o di ciò che mi suscita la realtà che mi circonda.

L’essere andato via di casa 5 anni fa e l’aver studiato sociologia mi hanno aperto la mente e mi hanno fatto maturare molto a livello personale, il che si è naturalmente riflesso sulla mia musica. Direi quindi che nonostante le due cose di per sé non abbiano a che fare l’una con l’altra, di fatto si incontrano in quello di cui scrivo nelle mie canzoni. Finora, sono riuscito a conciliarle alla mia maniera.

Hai sempre voluto cantare? Da dove è spuntata questa passione?

Da che ne ho memoria sono sempre stato affascinato dalla musica. Mio padre suonava la chitarra e mi cantava le canzoni di alcuni cantautori italiani ed americani sin da quando ero bambino. Avrò avuto circa otto anni quando ho provato per la prima volta a suonare con lui – ovviamente con scarsi risultati. Da lì mi sono sempre più appassionato allo strumento e da adolescente ho avuto la mia prima rock band con i miei amici, suonavamo delle cover sul genere Green Day e Blink-182.

Mi divertivo molto, non eravamo assolutamente dei fenomeni ma non mi importava più di tanto: al tempo mi interessava solamente suonare, perché era l’unico modo che avevo – e che ho tutt’ora – di esprimermi. Successivamente, le nostre strade si sono divise e ho smesso di suonare davanti ad un pubblico, per poi riprendere poco prima di concepire “Il Grigio”.

In “La primavera in una camera”, perché hai deciso di puntare a due stili così diversi?

“La primavera in una camera” è nata dal provino di un beat che il mio amico e produttore Rotshko mi aveva mandato circa uno o due anni fa. A marzo di quest’anno ho riascoltato un po’ di cose che avevo sul pc, appena è partito quel beat ci ho improvvisato il ritornello. Da lì, ho cominciato a produrre da zero la canzone rifacendomi a tutta una serie di artisti hip-hop e non solo della scena internazionale (Loyle Carner, Mac Miller, Tom Misch per citarne alcuni).

Nel farlo, mi sono lasciato influenzare dall’estetica lo-fi e quando ho concluso l’ho mandato a Stefano Lanza, il ragazzo che mi ha aiutato a produrre la canzone. Abbiamo deciso di inserire quel break di batteria a metà canzone anche per rincorrere una certa dualità. Non solo il video e la canzone sono su due stili diversi l’uno dall’altro, anche la canzone stessa si sviluppa in due momenti, uno più “chiuso” in cui descrivo la mia primavera in una camera, e un secondo momento più “aperto” dove viene lasciato spazio a un certo tipo di sfogo.

Nel video abbiamo cercato di riproporre la stessa cosa: inizialmente mi trovo nella mia “camera”, e man mano che la canzone va avanti e il tono della canzone cambia, il video si sposta all’aperto e fiorisce sempre di più.

Per lo stile del video, invece, mi sono completamente affidato a Ginevra Detassis. Con la quale avevo già lavorato per una live session che ho registrato nel 2020 e con cui sapevo che avrei lavorato bene e che avrei ottenuto un buon risultato. Quando ci siamo visti per ragionare sul video ci siamo subito trovati e abbiamo deciso il concept, l’estetica da seguire e i simboli del video e della canzone. Come l’Anturio – il fiore protagonista del video e della copertina.

Nel video un’atmosfera mistica e vintage e il brano hip-hop e lo-fi. Perché per te è importante la dualità?

Sul tema della dualità sì, per me è piuttosto importante e cerco sempre di inserirlo in qualche modo. In fondo è la ragione principale per cui ho scelto Il Grigio come nome d’arte: per me le cose non sono semplicemente bianche o nere. La realtà che ci circonda è fatta di sfumature che rendono tutto più complicato di ciò che sembra.

Per questa canzone la storia è diversa, perché non è questo il tema principale; tuttavia, il fatto di utilizzare due mood diversi sia nel video sia nella canzone in sé è dato dalla necessità di esprimere i due tipi di emozioni che ho provato durante la mia primavera.

All’inizio del video “La primavera in una camera” citi la famosa frase del film “L’odio” dove si dice che il problema non sia la caduta ma l’atterraggio. Cosa hai voluto comunicare con questa citazione inserita nel video? È un caso che quella frase venga detta dalla voce narrante all’inizio del film e tu abbia scelto proprio di metterla a inizio video?

Partendo dal fatto che “L’odio” è uno dei miei film preferiti, quando ho iniziato a lavorare alla produzione del pezzo ho capito che volevo inserire un campione che rendesse l’intro più significativo.

Sono sempre stato affascinato dalla storia del tizio che cade da un palazzo di 50 piani. Ritengo che il significato che le viene attribuito nel film sia solo uno dei tanti che può assumere. Non voglio spiegare cosa voglia dire per me nello specifico, anche perché leggendo tra le righe della strofa e della canzone in generale ci si può arrivare. Ciascun ascoltatore può attribuirle il significato che preferisce.

Tuttavia, una chiave di lettura interessante può essere trovata nel fatto che nonostante la frase più iconica sia pronunciata anche ad inizio film, il campione in realtà è tratto dalla scena in cui Vinz e Hubert parlano sul tetto con la tour Eiffel che fa da sfondo.

La sostanza non cambia, però volevo inserire l’ultima espressione di Vinz nel dialogo tra i due, quella in cui dice di sentirsi “come una formica persa nello spazio intergalattico“. Nonostante nel film sembri una frase buttata lì, per me e per la canzone ha un significato gigantesco. Forse ho già detto troppo (ride).

Un sogno (musicale) nel cassetto?

Al di là del riuscire un giorno a fare della musica la mia attività principale non ho grandi sogni o aspirazioni a livello musicale, come vincere premi o suonare su palchi giganteschi. Tuttavia, così su due piedi direi che spero un giorno di poter fare una chiacchierata con colui che ritengo il mio mentore musicale – specialmente a livello lirico – ovvero Willie Peyote. E perché no, magari anche farci un pezzo assieme.

a cura di
Sara Sattin

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