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Itaca Reveski, un viaggio tra le sue metafore

Itaca Reveski (nome d’arte di Gianmarco Ricasoli) è un musicista, produttore e compositore di Nettuno (scopriremo insieme in seguito che non è proprio così), in provincia di Roma.  

Scopre la sua passione per la musica in tenera età e dopo studi e varie cover band a 19 anni  forma il suo primo gruppo metal di inediti, gli Infinita Symphonia, con 3 dischi all’attivo e collaborazioni con Fabio Lione (Rhapsody), Tim Owens (ex Malmsteen, ex Judas  Priest), Ralf Scheepers (Primal Fear) e Blaze Bayley (ex Iron  Maiden).  

Nel 2018 entra a far parte della formazione live di Wrongonyou per il “Rebirth Tour” con date in  tutta Italia e in Europa, tra cui il concerto del Primo Maggio 2018 di Roma.  Nel 2019 si avvicina al mondo delle musiche di sottofondo e delle colonne sonore componendo,  tra le altre collaborazioni, la colonna sonora di “Capuchine Culture” del regista e biologo Luca Marino (premiato al “London Independent Film Awards 2020” e “Kolkata International Cult Film Festival 2020” a Calcutta).    

Nell’aprile 2020 vede la luce il progetto artistico Itaca Reveski lanciato dal singolo “20:venti” (scritta insieme ai suoi follower in quarantena).

Sei nato a Nettuno, come il nome latino di Poseidone colui che ha spinto Ulisse nel suo lungo viaggio, è un caso? Un segno del destino? O il tuo luogo di nascita ha influito sul tuo viaggio in quanto come nell’odissea esso è la causa stessa del viaggio?

Purtroppo per il bellissimo parallelismo sono nato ad Anzio (Ahahah), ma solo perché in quel periodo essendo Anzio e Nettuno due città molto vicine, l’unico ospedale operativo era quello di Anzio e quindi le persone nascevano solo lì. Sai, può sembrarti strano, ma non avevo mai collegato il nome della mia città con quello che sto facendo, probabilmente essendo una città dedicata al vecchio dio del mare Poseidone ho fatto mia l’energia delle origini che sono la causa stessa del viaggio. In ogni caso, alle basi di ogni viaggio c’è un punto di partenza che molto spesso rappresenta le proprie radici, familiari, culturali, interiori, territoriali e che ci porta verso qualcosa di nuovo, di desiderato e la maggior parte delle volte sconosciuto e sorprendente.

Hai una lunga storia cominciata giovanissimo e facendo salti di genere e stile, si può quindi dire che sei “navigato” nel mondo musicale seguendo quindi la metafora di Ulisse, ti senti ancora come appena salpato o sei già in una delle varie epopee del tuo viaggio?

Se dovessimo rendere l’idea della vita attraverso la metafora dell’Odissea e del viaggio di Ulisse direi che sono salpato da poco dall’ennesima meta incontrata durante il viaggio, per me ogni progetto che ho avuto e i dischi passati, ogni singolo nuovo, ogni EP, l’album che presto farò, è un’isola, una terra emersa. Sono punti in cui attraccare in cui a volte ci si perde, a volte ci si ritrova. Momenti in cui si scoprono nuovi pezzi mancanti del puzzle. La cosa fondamentale è che anche nei momenti più bui ci sia sempre una minuscola parte che rimane concentrata sulla ricerca metaforica di casa, di Itaca.

Nel video di Rododendro, uscito venerdì 18 sul tuo canale YouTube (link in basso), vediamo dei bellissimi scorci di quella che presumo essere l’Islanda, come raccontato nella tua storia, questo viaggio che hai compiuto è solo metaforico o anche concreto?

L’Islanda è uno dei miei posti preferiti al mondo, a volte passo ore a guardare video di quei paesaggi stupendi e molto spesso su Google Maps per dare una connotazione più precisa alla storia che sto scrivendo parallelamente alle canzoni. Purtroppo non ci sono ancora mai stato, ma come meta è scritta in maiuscolo e in grassetto sulla lista dei posti da visitare presto. 

Il video di Rododendro online sul canale di Itaca.
Questo tuo viaggio mi sembra molto interiore, nei tuoi post di Istagram (Link in basso) si percepisce nelle caption, quindi mi stavo chiedendo qual è la meta finale? Il percorso stesso? O una spinta nei tuoi ascoltatori a partire per un viaggio loro?

Il percorso è la parte più importante del viaggio, il fine stesso del viaggio interiore è conoscersi a livelli di profondità mai esplorate. Posso dirtelo sinceramente, come Gianmarco, io non ho idea di dove mi porterà questo viaggio. So per certo dove vorrei che mi portasse, ma sono anche un grande sostenitore del fatto che la vita è ciò che ti succede mentre fai altri programmi (Grazie John!). Il “Viaggiatore” nella storia invece, cerca Itaca Reveski perché leggendo il suo diario se n’è innamorato, quindi la sua meta è lei.

Quindi il mio intento è, mentre esploro per conto mio, parlare attraverso le parole di Itaca e del Viaggiatore, condividere questa esplorazione e ricerca sotto forma d’arte e spingere chi si avvicina al mio progetto a partire per un viaggio personale per essere viaggiatori insieme, ognuno alla ricerca della propria meta, ognuno in un momento diverso del viaggio magari, ma in viaggio, per allontanarsi dagli spazi stretti che ci impone molto spesso la frenesia di questa vita.

Il fatto che nei titoli delle tue canzoni sostituisci lettere con numeri o simboli che le ricordano è per suggerire una lettura più profonda della semplice parola, per estro artistico o per che motivo?

Assolutamente per suggerire una lettura più profonda, uno strato in più. Ad esempio per il mio pezzo “Gdbye (0,0)”, la riflessione da cui sono partito è “come trasformare un addio in un punto di partenza?”, a livello logico è bastato fare “Goodbye -> G00dbye -> G(0,0)dbye -> Gdbye (0,0)”, in cui “(0,0)” è il punto centrale del piano cartesiano. Per “Rodod(9)ndro” ad esempio, son partito da un disegno di un uomo rannicchiato dentro un cespuglio, lo ruotavo tra le dita e ci ho visto un “9″ tra parentesi, che è anche una “e” al contrario, come la direzione totalmente contraria che abbiamo preso rispetto al rapporto con la nostra Terra.

Come se a volte fossimo rannicchiati dentro noi stessi. Fare queste cose mi aiuta a vedere meglio ciò che ho dentro, mi specchio completamente in ciò che scrivo e lo esprimo al 100% in questo modo, anche se molte volte sembra meno comprensibile, in realtà lo è di più. Sarebbe semplice scrivere solo “Goodbye”, o solo “Rododendro”, ma mai è semplice ciò che proviamo e non sarebbe totale il significato quindi. Poi mi diverto anche molto in realtà, perché molto spesso sento che chi mi scrive è in difficoltà non sapendo come pronunciare il nome del pezzo o non sapendo come trovarlo, mi aiuta a fare selezione tra chi è interessato e chi no e son tutte cose che fanno parte di me e mi rendono riconoscibile. 

Il nome Reveski viene dal norvegese, come hai chiarito in altre interviste, il viaggio del tuo nuovo singolo è in Islanda, i boschi, i toni prevalenti dal tuo Istagram e dei video su YouTube sono molto freddi, questa presenza forte del nord è derivante dall’amore che hai per quelle terre? Magari influenzato dal tuo passato metal?

Ricordo che già da piccolo adoravo la neve, i film in cui si vedeva la neve. Abitando al mare, per me era una roba mai vista, ed è stato così per tanti anni. Ho sempre preferito l’autunno e l’inverno all’estate, preferisco il freddo al caldo. Vado al mare quando non c’è nessuno o pochissima gente, non quando si riempie nella stagione calda. Non mi piace la confusione e quei paesaggi nordici mi trasmettono grandezza, silenzio, tranquillità, pace interiore e anche un senso di “essere piccolo” in confronto alla grandiosità e la potenza della natura. Un po’ come sentirsi abbracciati dalla Terra ecco. Quindi direi che probabilmente il metal e tutto ciò che mi piace è a causa di ciò che sono e non il contrario. Poi sono bianco bianco di carnagione, sono quasi biondo, insomma, non sono propriamente il classico tipo mediterraneo, ci sta!

Itaca
Gianmarco Ricasoli in arte Itaca Reveski.
In una tua intervista precedente affermi che anche la Trap può essere vera se chi scrive i testi crede in ciò cui scrive, in Rododendro esprimi come il consumismo e i luoghi comuni ci rendano sempre più vuoti ora non vorrei generalizzare ma non è proprio l’oggettificazione al centro di qui testi?

Lo è, hai pienamente ragione. Se, ad esempio, una persona vive di questa oggettificazione, nella ricchezza materiale, nel consumo compulsivo, nelle macchine di lusso, nel continuo dover dimostrare e lo trasmette attraverso i suoi pezzi però, è sincera. Magari superficiale e con un approccio non molto sano alla vita, ma sincera. Poi è tutto molto riduttivo perché io non conosco benissimo la trap, quindi mi limito a parlare di sensazioni. A me non piace quel mondo, non vibra proprio nulla dentro di me quando provo ad ascoltare qualcosa. Però è un mondo in cui, secondo me, esce fuori qualcosa di vero, in cui molte persone si sentono identificate e sentono un senso di appartenenza. Escono fuori dei disagi veri da quei pezzi lì e quindi pace, va bene così, non è una guerra e non sono nemici per me, come lo sono per molti.

Non è il mio modo di fare musica, di vivere, di pensare, di respirare, ma la musica è lo specchio dei tempi che si vivono (non il contrario) e per quanto possiamo star tre ore a dire “dovrebbe essere così o colà”, la realtà resta diversa dal condizionale. L’importante è che ognuno artisticamente faccia ciò che sente di dover fare. Ci sono anche molti artisti che si nascondono dietro tante belle parole, ossessionati dal successo. Quindi meglio fare musica ritenuta decente dai critici e non essere sinceri con se stessi, o fare musica che ti rispecchia al 100%? Per me vincerà sempre la seconda.

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a cura di
Federico Zanoni

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